giovedì 1 maggio 2008

Piccoli librai non crescono (e c’è un motivo)






Ho frequentato per anni una piccola libreria di Torino (la Cooperativa Studi di Via Ormea). All’epoca pubblicavano una rivista ciclostilata, l’evoluzione grafica e non solo della rivista esiste ancora (LN LibriNuovi). Ora non è più ciclostilata, lo spirito è quello, ma la stampa è digitale.
In quella libreria ho formato i miei gusti di lettore. Erano gli anni ’90. Ho scoperto Ellroy. Ho scoperto Dick. Avevo diciotto anni, no diciannove.
Il vero disastro delle piccole librerie che lamentano una loro lenta scomparsa ad opera dei megastore, delle “grandi superfici espositive” (GSE) e che spesso le piccole libreria hanno problemi, molti problemi e
1. i problemi non dipendono dalle GSE
2. non arriva Mr. Wolf/Harvey Keitel che li risolve.



Tutto quello che segue NON è riferito alla Cooperativa Studi (la Cooperativa Studi è l’eccezione).
Sono entrato in una piccola libreria (aveva 6 vetrine, quindi neanche troppo piccola) e ho chiesto alcuni libri (mi ero preparato una lista a prova di bomba, nel senso “almeno uno lo becco”).
Un libro era della Mondadori, uscito da poco più di una settimana. Il libro non risultava né in magazzino, né in arrivo. Evvai!
Un libro era in realtà uno di quei DVD+Libro della Feltrinelli, anche questo recente, ma non troppo. Risultato? Come sopra.
Un libro era di Michael Moorcock, un classico del fantasy. Da qualche parte ho letto che il fantasy vende, allora ho pensato: “questo lo avranno”. Seee… troppo facile. Niente. Però il libro, un tascabile del 2007, un tempo è passato per la libreria, ma ora bisogna riordinarlo. E Tolkien? Tolkien ce l’hanno. Ho capito perché a Moorcock non piace Tolkien: quando va in libreria i libri di Tolkien li trova, quelli che scrive lui no.
Un libro ecc. ecc. (scene simili per 8 titoli).
Alla fine tiro fuori la domanda di riserva.
Io: -Avete per caso- sì perché il caso è importante lo diceva Monod in un libro che in ‘sto cazzo posto di sicuro non hanno- ricominciamo…
Io: Avete per caso un libro di Soseki? (Le mostro un foglietto su cui ho scritto il nome)
Libraia: Quale titolo?
Io: Qualsiasi (voce rotta dalla disperazione)
Libraia, dopo aver battuto sui tasti del computer: Non mi risulta. E’ sicuro che il nome si scriva così. Aspetti che controllo…
Io: No, ma guardi si scrive proprio così, Esse-O-Esse-E-Kappa-I.
La libraia fa finta di non sentire e controlla, d'altronde lei è la professionista, io sono solo un lettore.
Viene fuori che questo tale Soseki si scrive Soseki.
Libraia: No, mi dispiace non abbiamo nulla.

Evvabbe’ è un classico della letteratura giapponese, e noi siamo in Italia, che culo!
Ma gli altri libri? E non erano libri di editori proprio piccoli. Mondadori. Adelphi. Fanucci. Neri Pozza. Einaudi. Cose così, insomma.
La piccola libreria non li aveva. Cosa devo fare?
E poi mi dicono che le piccole librerie falliscono: ma se sono come questa emmenomale! Festeggiamo!

Il giorno dopo questa avventura educativa, entro alla FNAC, è vicino a casa, vado a piedi e non inquino. Esco con:
un libro della Mondadori,
uno dell’Adelphi,
uno della Fanucci,
uno della Feltrinelli,
uno della Nutrimenti
e anche con un CD.
Piccolo è bello. Fosse vero… o almeno quasi sempre vero.
Addenda:
Le librerie indipendenti sono favolose, ma solo quando chi avete di fronte è un buon lettore, una persona per cui la lettura sia una passione. Conosco librerie così, ma ho avuto fortuna.
Per queste librerie la distribuzione creativa o "ricreativa" degli editori, i megastore e la mancanza di una politica a sostegno del libro sono problemi con cui si fanno i conti ogni giorno o a fine mese.

3 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Ciao Enzo. È un piacere ritrovarti in blog.
Per quanto riguarda il tuo post penso che il problema sia di specializzazione. Mi spiego: per una piccola libreria l'assortimento è un costo terrificante. Si deve scegliere e diversificare. Io ho una certa idea di diversificazione, diversa - giocoforza - da quella di qualcun altro. È quindi normale che possa capitare di entrare in una libreria che non ha i libri che cerchi pur avendone, all'apparenza, molti.
Un po' diverso il discorso se la «specializzazione» consiste nell'avere 2000 - 3000 titoli a vocazione fortemente commerciale e non si hanno subito disponibili «classici» come Soseki. Sinceramente in questo caso mi chiedo, come te, a che cosa serve una libreria di questo genere. Personalmente credo che li librerie debbano essere insostituibili. Se sono sostituibili, sono inutili.

Massimo Citi ha detto...

Dimenticavo: ho linkato il tuo blog. Al più presto lo linkerò anche dal sito di LN.

Enzo Paolo Baranelli ha detto...

Ciao,

grazie della risposta: non pensavo di trovare qualcuno il primo maggio (ero passato per fare un’aggiunta di poche righe).
Il problema di alcune librerie è che hanno, come dici tu, titoli a vocazione commerciale, ma poi manca tutto il resto. La vetrina contiene qualche novità e i libri più venduti (secondo la classifica di TTL o equivalente), libri che trovi comodamente al supermercato, in genere tra una sedia da giardino e i giochi per la playstation (che prima o poi mi dovrò decidere a comprare almeno per giocare a Grand Theft Auto IV).
Il fatto è che nella libreria di cui mi lamentavo mancavano libri comuni, l’ultimo Connelly c’era, ma io lo avevo già letto. E’ questo che ha generato il post. Mi ero preparato una lista con otto titoli, con Soseki diciamo nove, e poi non volendo proprio uscire senza comprare nulla, ma sapendo che mi stavo tirando la zappa sui piedi, ho chiesto anche un libro della Nutrimenti: niente da fare, ricapitolando: cercati dieci libri, zero trovati. La libreria dove sono andato è un esempio negativo. Non è una libreria sostituibile, è una libreria che andrebbe chiusa, magari riempiendola con una colata di cemento.

Ma esistono gli esempi positivi, nel post è indicato anche un indirizzo, ma secondo me sono casi isolati e circoscritti. Se mi sbaglio, meglio per tutti.
Considera che la libreria, quella da riempire con il cemento, non quella buona, si trova in una città o paese non so, di 26.000 abitanti e avrebbe un bacino di utenza (considerando anche i piccoli centri vicini) di almeno 35.000 persone. L’Italia non è fatta solo di città popolate da centinaia di migliaia di abitanti. Uolter magari lo pensa ancora, ma non è così. E’ vero che molte di queste persone lavoreranno altrove e forse avranno la possibilità di andare a comprarsi i libri dove preferiscono, ma una libreria che è messa in un piccolo centro cittadino e non ha praticamente concorrenti in zona, potrebbe osare di più. Io voglio essere ottimista, tra 35.000 persone ci saranno lettori forti, medi e vacanzieri: perché non cercare di offrire qualcosa in più? Secondo me esiste lo spazio giusto per essere creativi e senza spendere troppo: un po’ di toner e carta per la stampante, magari qualche tartina se è il caso, le idee invece sono gratis, il problema è averle.