Il romanzo (ma sarà un romanzo?) di Percival Everett è costruito con gli appunti che l'autore ha preso, mentre stava in un loft di Los Angeles nel 2003. L'opera è stata poi assemblata unendo i vari appunti nell'ordine in cui sono stati scritti. Tutto semplice. Però normalmente la trama ha uno svolgimento, se rinuncio all'ordine, che come autore posso imporre alla storia, allora lo svolgimento è affidato al caso. Mi sveglio la mattina e scrivo. Oppure disegno, perché nel libro di Everett ci sono anche alcuni disegni. Se non bastasse ci sono anche riferimenti ai Presocratrici, a Socrate, che offendeva le ostetriche e ai Postsocratici. Ci sono limerick. E brani interi dove la lingua si sposta di una sillaba o di una vocale, in avanti o indietro, o di molte sillabe e vocali. Il fatto è che il narratore, Ishmael Kidder ("Chiamatemi Ishmael") è o era il padre di una bambina. La bambina è stata rapita e uccisa. Il presunto colpevole viene rilasciato. Quello che aspetta il colpevole, tra le altre cose, è il waterboarding o la cura dell'acqua "che non lascia segni tagli graffi o lividi, non lascia tracce o prove, solo i guaiti del soggetto, e un dolce ricordo per l'autore della tortura".
Non è un libro sulla vendetta. Il libro è la reazione dell'autore "verso i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti". Everett dice poco dopo: "ho dovuto ritagliare un posto dentro di me dove poter immaginare di trattare una persona in modo così crudele; trovare quel posto mi ha fatto male".Everett riesce a immaginare quel luogo nero dell'animo. Ma il protagonista è stato a sua volta una vittima e quando ridicolizza il molestatore dicendogli che non gliene frega un cazzo delle violenze che il molestatore di bambine può aver subito da piccolo e che lo hanno fatto diventare quello che è ("Mi dispiace non sono un freudiano"), il protagonista non vede quello che vediamo noi. Perché è dentro un frammento. Ed è una vittima.Questo cerchio di violenza sembra solido e in qualche modo destinato a riprodursi sempre identico.
La potenza del linguaggio è tutto ciò che ha l'autore. Everett si affanna a prendere appunti (anche se "odio vedere la parola 'appunti' tra i miei appunti") e a creare qualcosa e a scavare nella lingua (e auguri per la salute mentale del traduttore -molto bravo senza dubbio), ma Everett disegna anche. Nel libro vediamo una linea poi, due, tre, quattro e così per tutte le pagine e poi il disegno prende forma. I frammenti sono in ordine cronologico, ma noi non vi vediamo nessun ordine. Anche i disegni sono in ordine cronologico e noi vediamo comporsi, ordinatamente, la figura, che è l'oggetto del disegno, sotto i nostri occhi. "Noi, tutti noi, siamo e saremo solo punti e linee".
Percival Everett è un grandissimo autore. Potevo fare di più, scrivere ancora, ma leggendo il libro sono stato anch'io in quel luogo oscuro. "La cura dell'acqua" (Nutrimenti) non è una artificiosa costruzione per dire che il Presidente è un idiota (il fatto è in qualche modo marginale). Everett scrive del dolore. Della separazione. Di chi ci ha lasciato per sempre: "Se fossi felice, avrei bisogno di qualcuno. Per condividere questa felicità. Ma questo dolore, questo dolore può benissimo cavarsela da solo". E a dirla tutta, oggi è sabato e mi piacerebbe guardare almeno due o tre puntate della serie "Deadwood" prima di uscire per cena. E poi non sentirò quegli strani rumori che arrivano dalla cantina.
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