domenica 28 novembre 2010

Josh Ritter So Runs The World Away

Mentre cercavo gli ultimi lavori di Jason Collett, ho trovato, con ritardo, un album uscito a marzo. Un misto di amarezza e melodie più dolci. Il leaflet contiene tutti i testi (da amazon.com 9 euro con la spedizione che è arrivata in meno di due settimane: pensare che hanno spedito un pacco da Milano il 15 novembre ed è stato fagocitato da Poste Italiane... la North Carolina è più vicina).

He opens his eyes
Falls in love at first sight
With the girl in the doorway
What beautiful lines
Heart full of life
After thousands of years, what a face to wake up to

He holds back a sigh
As she touches his arm
She dusts off the bed where til now he's been sleeping
Under miles of stone
The dried fig of his heart
Under scarab and bone
Starts back to it's beating

She carries him home
In a beautiful boat
He watches the sea from a porthole in stowage
He can hear all she says
As she sits by his bed
And one day his lips answered her
In her own language
The days quickly pass
He loves making her laugh
The first time he moves it's her hair that he touches
She asks "Are you cursed?"
He says "I think that I'm cured."
Then he talks of the Nile and the girls in bulrushes

In New York he is laid
In a glass covered case
He pretends he is dead
People crowd round to see him
But at night she comes round
And the two wander down the halls of the tomb
That she calls a museum
But he stops to rest
Then less and less
Then it's her that looks tired
Staying up asking questions
He learns how to read
From the papers that she is writing about him
Then he makes corrections
It's his face on her book
More come to look
Families from Iowa
Upper West-Siders
Then one day it's too much
He decides to get up
Then as chaos ensues he walks outside to find her
She is using a cane
And her face looks too pale
But she's happy to see him
As they walk he supports her
She asks "Are you cursed?"
But his answer is obscured
In a sandstorm of flashbulbs
And rowdy reporters

Such reanimation
The two tour the nation
He gets out of limos
Meets other women
He speaks of her fondly
Their nights in the museum
She's just one more rag now he's dragging behind him
She stops going out
She just lies there in bed
In hotels in whatever towns they are speaking
Then her face starts to set
And her hands start to fold
Then one day the dried fig of her heart stops its beating

Long ago on the ship
She asked "Why pyramids?"
He said "Think of them as an immense invitation."
She asks "Are you cursed?"
He says "I think that I'm cured."
Then he kissed her and hoped
That she'd forget that question

mercoledì 24 novembre 2010

Un caso per tre detective di Leo Bruce

Con lo pseudonimo di Leo Bruce, l’inglese Rupert Croft-Cooke, scrisse decine di polizieschi a partire dagli anni Trenta. In questo romanzo, per la prima volta, entra in scena il pragmatico sergente Beef, protagonista di altri sette libri, ma la caratteristica principale di “Un caso per tre detective” è un uso riuscitissimo della parodia. I tre detective del titolo non sono altro che le caricature di Lord Peter Wimsey, investigatore all’epoca molto noto, e poi Hercule Poirot e Padre Brown, interpretati dall’istrionico Amer Picon e dal catatonico Monsignor Smith.
La vena di umorismo che percorre l’intero racconto, un classico delitto della camera chiusa, si intreccia alla perfezione con una trama ricca di eventi e supposizioni. Alla fine il lettore avrà ben tre ipotetiche risoluzioni dell’enigma, a cui si aggiungerà quella del sergente Beef o, come dice Picon, “il nostro buon Boeuf”. Un romanzo che può essere un’ottima lettura oppure un regalo di Natale perfetto: se chi lo ricevesse, lo avesse già letto, tanto meglio per voi. Imperdibile.

Leo Bruce, “Un caso per tre detective” (ed. or. 1936), pp. 265, 13,90 euro, Polillo, 2010.

lunedì 15 novembre 2010

Goodreads sucks! Goodreads vs. aNobii

Dietro consiglio di un amico tento di creare un profilo su Goodreads (il social network per bibliofili che dovrebbe scalzare aNobii). Dopo 15 minuti mi oriento. Intanto vinco un gran premio con F1 2010 (Montreal), controllo gli orari dei treni, verifico gli scioperi, e dopo poco mi accorgo che inizia il mio turno di lavoro. Facciamo questo passo e importiamo la libreria, un link (ruffianissimo) mi dice che si può importare "senza stress"...
Compio le operazioni indicate e... sorpresa, il processo (che non è detto sia efficace sull'intero scaffale/libreria di aNobii) richiede 238 minuti! Ma lo sapete cosa posso fare io in 238 minuti? Forse se mi pagano ci ripenso, per ora il mio profilo su Goodreads è vuoto, a parte una foto d'autore intotalata Revolutionary Kitchen©, presente su vari profili pubblici (cabaret bisanzio, questo blog). Inoltre l'interfaccia non è affatto user friendly come la vogliono spacciare. Si tratta, in fondo, di business e le borse asiatiche aprono prima.

mercoledì 3 novembre 2010

L’isola dei naufraghi di Natsuo Kirino

Il naufragar, nelle pagine della Kirino, non è dolce per niente.
Questo libro, scritto nel 2008 e pubblicato nel 2010 da Giano, è un romanzo altalenante, ora pacato, riflessivo, quasi meditabondo, ora prepotente e ricco di azione.
La quarta di copertina è leggermente fuorviante; ci sono sì molti uomini naufragati su un’isola deserta, e una sola donna, e viene sì fatto un sorteggio nel decidere chi ne sarà il marito, ma tutto ciò è precario: già nelle prime pagine questa “routine” verrà sconvolta. Il tutto infatti parte dal rammarico di Sayako nel percepire che il quarto sorteggio per la scelta del suo nuovo marito è un evento del tutto ordinario, che scivola quasi nell’inutilità. Ove prima lei era desiderata, bramata, seguita, sognata, ora è semplicemente accettata, in certi casi ignorata.
Gli uomini si stanno rassegnando, lei non è più giovane, eccetera eccetera.
Nel prosieguo della storia, veniamo portati ora avanti, ora indietro, seguendo lo sguardo di personaggi diversi tra loro. Ognuno di essi porta con sé una prospettiva, ognuno di essi ci dà dettagli sconosciuti agli altri e così, in un gioco di prospettive, la storia si dipana, si avvolge su sé stessa, si distende.
Giapponesi, cinesi.
Leader ed esiliati.
Pazzi e santoni.
Sayako. Unica donna. Regina prima, traditrice poi. Comunque sempre al centro degli eventi.
La Kirino costruisce un universo racchiuso da barriere coralline, fatto di sopravvivenza, rimpianti, ricordi.
Qui manca quella sorta di inquietudine, di terrore serpeggiante, la sensazione che qualcosa di terribile stia per accedere. Il tutto è più un modo per descrivere, deridere, analizzare la società nipponica, i suoi limiti, i suoi stereotipi.
Non è un libro sopra la media, è un libro ben scritto che intrattiene senza stupire; le ultime 100 pagine, nelle quali le acque si dovrebbero increspare, sono un mero palliativo. Il finale, in fondo, è un qualcosa che ci si aspetta.
Poteva essere meglio, poteva essere peggio.
L’ordinarietà è tranquillizzante, ma la grandezza è altro.
(Chiara Biondini)