lunedì 12 dicembre 2011

Antonio D'Orrico e Fabio Geda (ovvero le mail del lunedì).

E' lunedì, ricomincia dopo un solo giorno di riposo il Lavoro (che poi non è detto ci sia sempre, il lavoro..). L'abitudine si fa gesto automatico, come attraverso le connesioni neuronali del cervelletto, controllo Gmail... e tutto è molto politicamente scorretto, ma purtroppo vero. Ed è anche vero che per evitare problemi legali occorre la censura oppure la privacy deve essere rispettata (quest'ultimo valore è davvero tale e non intendo metterlo in discussione). Il parlare tra due persone non può divenire pubblico, se non è filtrato.
N.B.: io lavoro a partire dalle 14.00...

A me:
Su "La Lettura" (inserto del Corriere n.d.r.) ieri Geda viene massacrato senza pietà in puro
stile Baranelli.
Ormai fai scuola.


Risposta:
Letto, letto... Da notare che racconta anche il finale (mettendolo in ridicolo), così casomai uno volesse prendere il libro sa già come finisce (è una particolarità da bastardi senza gloria -citazione da un noto film, quindi non diffamante- n.d.r.) che si può utilizzare con [omissis: nomi di vari autori italiani n.d.r.] e continua tu; comunque non sempre altrimenti il lettore vede la firma di Daniele Giglioli e si ferma...); poi è anche vero che le informazioni lette sui quotidiani sono generalmente immagazzinate nella memoria a breve termine per cui a chi ha letto l'articolo, sotto natale non verrà in mente il finale, ma piuttosto che il romanzo fa schifo e l'autore è solo un gran [omissis]...
Comunque io già stigmatizzai in due righe quella [omissis] precedente...
[omissis]

PS Invece a proposito dei libri consigliati da D'Orrico si può fare un post interessante del genere E' tutta una parodia alla Guzzanti oppure 'st'omo ha proprio il cervello bollito? Perché secondo lui il lettore dovrebbe leggere l'ultimo King (non è assolutamente un capolavoro), la biografia di Ibrahimovic (sic), Veronesi (sic al quadrato) e (questa settimana) Christopher Paolini (sic elevato a n) che ormai i genitori magari lo comprano sperando di risparmiare sul regalo, ma se lo schifano pure i regazzini...
[Omissis: frase molto politicamente scorretta che potrebbe condurre ad un azione legale].

A me:
[Omissis]
D'Orrico è completamente andato. Anche l'ultimo Ongaro, che lui
spaccia per capolavoro, non vale un decimo dell'Ongaro di qualche anno fa (va be', lui [omissis], quindi ci sta che il libro nuovo non sia granché, anche se i refusi a Piemme glieli potevano correggere, ce n'è uno per pagina quando va bene).


Fine?

P.S.
Per la serie anche un orologio rotto può segnare l'ora giusta due volte al giorno, nell'inserto di domenica 18 dicembre, D'orrico coglie un ambo di quelli tosti con i suoi voti a De Luca e Mazzantini: rispettivamente 3 e 1,5 (o forse 1...), con una recensione breve, ma piuttosto pungente chiamata "Delusioni parallele".

mercoledì 9 novembre 2011

China Miéville in libreria il 17 novembre per celebrare il mio compleanno! (che è il 16)

Dall'Ufficio Stampa:

Presto in libreria il nuovo romanzo di uno degli autori più eclettici della science fiction. Uno scrittore giovane che in America viene tenuto d’occhio e seguito con attenzione, già soprannominato: “The next big thing”. La città e la città è un romanzo in cui weird e thriller si mescolano come le due città parallele di Besźel e Ul Qoma. Miéville non si limita a raccontare di mondi fantastici e/o alternativi, anzi sfrutta proprio queste ambientazioni per proporre argomenti di attualità e dibattito, quali imperialismo e colonialismo, terrorismo, odio razziale, omosessualità, diritti dei lavoratori e guerra. Un autore che resta fedele alla tradizione britannica del fantastico innovandola però dal profondo.


Torna in libreria l’autore più acclamato della fantascienza moderna [soprattutto da me]
con un sci-fi thriller vincitore, come miglior romanzo pubblicato nel 2010, di:

PREMIO HUGO
ARTHUR C. CLARKE AWARD
BRITISH SCIENCE FICTION AWARD
WORLD FANTASY AWARD
E FINALISTA AL PREMIO NEBULA NEL 2011

In uscita a novembre 2011
China Miéville
La città e la città

Collana Ventesima Timeline
Pagine 384
12,90 euro


Immaginate una collaborazione tra Raymond Chandler e Kafka,
con l’aggiunta di un pizzico di politica e di paranoia. Il risultato è ipnotico.”
Independent ‘The 50 Best Winter Reads’

Un avvincente thriller filosofico su come le paure umane e il pregiudizio possano ridisegnare la realtà.” Times

Si tende a invocare troppo spesso i nomi di Kafka e Orwell
per qualsiasi cosa appena un po’ diversa dal comune,
ma in questo caso la comparazione è assolutamente appropriata.”
The Times

Attraverso questa esasperata metafora sulla separazione,
Miéville esamina abilmente le illusioni che le persone abbracciano
per salvaguardare i propri privilegi sociali.”
Publishers Weekly

Audace e inquietante… Miéville getta luce su questioni fondamentali e preoccupanti,
relative alla cultura, ai governi e alle differenze che generano separazioni.” Walter Mosley

Questa storia spettacolare, intricata e paranoide vale lo sforzo della lettura.
Kirkus Reviews

Immaginate due città, separate e unite allo stesso tempo, in un punto indefinito dell’Europa. Figlie della catastrofe post-sovietica. Due città sovrapposte, che condividono lo stesso spazio, ognuna con le proprie strade, i propri palazzi, i propri cittadini, la propria storia, la propria identità. Un’anomalia spazio-temporale, un capriccio tecnologico, un errore nella creazione, una scissione a un certo punto della storia? Tutto questo, o forse no. Per un cittadino dell’una il più grave reato è quello di vedere un cittadino dell’altra: sono due mondi vicinissimi, eppure incomunicabili, e la punizione per chi trasgredisce è certa e impietosa. Così tutti sono abituati fin dalla nascita a non-vedere, a sfuggire ogni forma di contatto con gli altri che pure sono lì, sotto i loro occhi e a portata di mano. Viene scoperto un delitto, in una delle due città, e le indagini portano fino all’altra città, e poi oltre, in un’altra realtà che nessuna delle due sembra conoscere, e che forse le trascende entrambe. Un romanzo che è allo stesso tempo una appassionante detective-story nel solco della grande tradizione noir del Novecento e una parabola nemmeno troppo nascosta della difficoltà di comunicare nel mondo alienato di oggi. China Miéville conferma in quest’opera tutte le sue eccezionali capacità di narratore e di manipolatore del linguaggio.

CHINA TOM MIÉVILLE è nato a Londra nel 1972. A diciotto anni si è trasferito in Egitto, dove ha insegnato inglese e si è interessato alla cultura araba e alla situazione politica mediorientale. È laureato a Cambridge in antropologia sociale e ha conseguito un master presso la London School of Economics. Il suo primo romanzo, King Rat (1998), è stato nominato per il Bram Stoker Prize. Perdido Street Station (2000) ha vinto l’Arthur Clarke Award e il British Fantasy Award nel 2001.

venerdì 28 ottobre 2011

Baricco e l'arte: un ossimoro vivente



Per pubblicizzare l’uscita del nuovo romanzo di Baricco, si fanno le cose in grande: copertina de Il Venerdì che preannuncia un articolo-intervista (in pratica un monologo) di 5 pagine, contando l’apertura con la foto di Baricco su due pagine.  Mr Gwyn è il titolo dell’ultima fatica (160 pagine) dello scrittore che ha:


-fondato una scuola di scrittura

-creato, anni fa, una trasmissione televisiva (anche gradevole)

-dato vita a diverse forme teatrali

-diretto un film (lo avete visto?)


Fin qui nulla di male, se non fosse per l’abilità di Baricco di inserire senza pudore temi autoreferenziali-reverenziali nell’intervista. Un esempio, credo, possa bastare:


“Fondare una scuola, aprire un teatro, inventare un certo modo di fare televisione sono operazioni più simili all’arte che all’artigianato. L’iPhone è certamente più vicino [all’arte] che non Infinite Jest di Foster Wallace”. E qui, per evitare sproloqui, meglio tacere.
NOTA: Il libro "Mr Gwyn" è più vicino, come dimensioni, a un iPhone (scatola esclusa) che a Infinite Jest...

domenica 2 ottobre 2011

Franck Thilliez e Fabio Gambaro su Repubblica 2/10/2011

Saranno amici, forse. Non si spiega - oppure si spiegherebbe in altri termini - la recensione entusiasta (p. 49) di un libro che solo dal titolo rimanda al ridicolo (all'uscita in libreria un'amico mi inviò una mail brevissima "Ma sarà Romano?"):il volume in questione è "L'osservatore" di Franck Thilliez (ed. Nord).
In precedenza avevo potuto provare l'assoluta inconsistenza della scrittura di Thilliez sia a livello formale, sia nella costruzione della trama: su Cabaret Bisanzio.
Ora se il libro fosse presentato come una novità, una svolta, capirei, ma Fabio Gambaro ne parla ribadendo "il talento dell'autore"...
Dove stia questo talento è il vero mistero.
(Nella foto Franck con Francois).

giovedì 11 agosto 2011

They Might Be Giants e The Feelies

Divertente l'ultimo disco dei They might be giants, "Join Us", melodie allegre, adatte alla stagione estiva, forse non troppo pensato e introspettivo, ma bello. Quando uno si sveglia magari non è che deve necessariamente sentire il bisogno di una seduta freudiana.
Un altro disco, arrivatomi mentre ero via, è "Here Before", dei The Feelies. L'ho ascoltato un po' su amazon.com e poi l'ho preso (considerato quanto vale un dollaro). Anche qui armonie solari e una struttura solida (per certi versi niente di nuovo). Un buon album. Un piacere ascoltarlo. Per me è sufficiente.

giovedì 7 luglio 2011

L'Indice dei libri del mese e il concorso con il trucco.

Nel tentativo di aumentare gli accessi alla versione online de L'Indice, verso metà aprile è stato indetto un concorso in cui si doveva inviare una scheda di massimo 2.400 battute. Tale scheda sarebbe stata sottoposta al giudizio dei lettori (in teoria a ogni accesso sarebbe dovuto corrispondere a un voto... in teoria). La scheda vincitrice, secondo la redazione, in base ai voti è quella su un saggio: il problema è che di voti pare averne ricevuti anche troppi cioè più di 14.000 (la media è di circa 2.000-3.000 voti poi ovviamente le schede messe sul sito a giugno hanno ricevuto meno voti, per una semplice questione temporale). Anche ammettendo che tutti i visitatori del sito abbiano votato per la scheda vincitrice pare difficile credere che questa abbia ricevuto oltre 14.000 voti! In pratica è come se in una circoscrizione composta da 5.000 elettori un candidato ricevesse 14.741 preferenze: strano?

Ovviamente sì, visto che il responsabile del sito a una mail in cui si segnalava l'anomalia rispondeva: "Posso dire soltanto che ci siamo messi in moto per scovare il programma impostato per votare e ottenute le "prove" prenderemo i provvedimenti necessari".
Bene: cosa hanno fatto? Hanno premiato la scheda incriminata (non mi esprimo circa la responsabilità di alcun hacker o persona, per esempio potrebbe essere stato fatto tutto all'insaputa dell'autore del commento; una così smaccata "truffa" rilevabile con la semplice matematica, senza algoritmi, ma con banali addizioni, porta discredito; di sicuro su chi avvalla un risultato palesemente irreale). La mia proposta, che mi escluderebbe dalle premiazioni, sarebbe quella di considerare validi solo i giudizi della redazione e di sospendere le premiazioni tramite voto (se non si hanno i mezzi tecnici, ma neppure un minimo di buon senso, allora è meglio astenersi).
Non era poi tanto difficile capire che il concorso era stato truccato, dato che il numero degli accessi nell'arco dei mesi tra apertura e chiusura del concorso escludeva la possibilità che una scheda raggranellasse tutte queste preferenze.

lunedì 16 maggio 2011

Il nemico - Romanzo eretico di E. Tonon

E' una mattina di sole. Controllo i miei libri, provo quasi tenerezza per il ricordo di quando bambino ordinavo i volumi di Conan Doyle alla cartolaia (il paese non aveva e non ha ovviamente una libreria) e attendevo con ansia il martedì mattina.

Ora ho iniziato, non so per quale motivo, forse perché ho visto di sfuggita l'autore, "Il nemico" di Emanuele Tonon (ISBN, stampato nel 2009), vorrei poter continuare a leggerlo tutto il giorno, non è lungo, però è profondo e forse richiederà più immersioni. Subito mi piace la lingua, le frasi che, si sente, non hanno pietà o il finto candore dell'intrattenitore. Una durezza che apre l'anima. Purtroppo nel finale la scrittura diventa ripetitiva fino all'ossessione e quello che prima si era guadagnato va disperso, perduto nella melma delle parole svuotate di significato, perché abusate.
Come per molti autori che ho imparato a stimare sempre di più, mi rattrista vedere quanto poco vendano in rapporto alla qualità delle opere. E' anche questa una condanna che accompagna il meglio nella deriva culturale che avanza.

mercoledì 11 maggio 2011

Crazy Friend di Jonathan Lethem

[Intercettazione B-1408-05/05/2011]

Caro A., il libro di Lethem, al secondo tentativo, è arrivato. Ovviamente essendo un libro su Philip Kindred Dick esisterà un’altra copia in viaggio tra gli uffici postali o in una dimensione parallela. Leggendo le prime pagine di Jonathan Lethem ho pensato che anch’io potrei scrivere qualcosa su Philip, anche se alcune sue opere minori mi mancano. Lethem non fece in tempo a conoscere PKD, arrivò in California con due anni di ritardo: Dick era morto nel 1982 (1928-1982, queste le date che delimitano l’esistenza di Dick oppure quella del sogno di sua sorella che non morì nel 1928, ma lo ha sognato assegnandoli un’esistenza in una dimensione onirica). Leggere Dick, per gli appassionati, appare un dovere civico.

Gran parte dei riferimenti che Lethem mette sul piatto si possono trovare anche in altri articoli, prefazioni, oppure nella discreta biografia di PKD scritta da Emmanuel Carrère.

Questo libro è consigliato a tutti gli adepti di Dick. Sicuramente io sono più incline a perdonare le cadute di stile, messe in evidenza da Lethem, quando ci si confronta con capolavori come “Ubik”, “Un oscuro scrutare”, “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” e altri ancora, certe mancanze scivolano in secondo piano. “Crazy Friend” è un atto d’amore dovuto a Dick ed è una lettura obbligata anche per gli ammiratori di Lethem. “Chronic City”, dopo la lettura di questo volume, apparirà sotto una nuova prospettiva. “Crazy Friend” è un testo che funziona o si blocca avvitandosi su se stesso. Lethem propone anche alcuni suoi racconti “dickiani” (uno o due non sono male). E’ un libro, probabilmente non riuscito, ma affascinante, che ti ringrazio di avermi fatto leggere. Un abbraccio, E.

Jonathan Lethem, “Crazy Friend” (ed. or. 2011), pp. 150, 14 euro, Minimum Fax, 2011.

domenica 1 maggio 2011

Abusivismo professionale in Farmacia.

In questa giornata in cui migliaia di persone sfilano per ricordare i diritti dei lavoratori, io sto ascoltando l’album di Julia Stone, “The Memory Machine”, splendido per questa domenica di sole e con un libretto fantastico dal punto di vista grafico. Un gran bell’oggetto (questo per gli amanti degli mp3 scaricati dalla rete)! Sto anche leggendo "Zona" di Mathias Énard: un testo di grandissimo fascino, una spy story che usa il genere solo per attraversare i confini delle guerre che hanno afflitto gli ultimi sessant’anni. La scrittura possiede una forza devastante, resa più letale dall’uso del flusso di coscienza che costituisce l’anima del racconto del protagonista Francis Servain Mirković. Tra Venezia, Il Cairo, Beirut (vista anche attraverso un racconto nel racconto), i Balcani, il Nord Africa, l’autore riesce ad imprimere alla Storia accelerazioni e digressioni (stupendo il resoconto della battaglia di Lepanto e dell’archibugiere Cervantes). Mathias Énard ha scritto un capolavoro.


Visto che è il primo maggio parliamo anche dell’abusivismo professionale in farmacia. Questo è un reato penale punibile fino a un anno di reclusione (art. 348 del Codice penale) e parimenti punibile è il titolare che utilizzi personale non qualificato nella farmacia (art.110 del Codice penale). L’abusivismo professionale in farmacia toglie lavoro a chi ha studiato 5 anni (la laurea in Farmacia è una laurea magistrale specialistica) e toglie dignità a tutti i farmacisti collaboratori, oltre a danneggiare le loro famiglie; più della metà di quelli che sfilano o hanno sfilato in cortei per questa giornata quando si reca in farmacia fa generalmente la cosa più tipicamente italiana: gira la testa dall’altra parte. A mio parere se una persona, entrata in una farmacia, si accorge che vi si compie il reato di abusivismo e non fa nulla, è moralmente responsabile, sebbene non punibile, del medesimo reato di
concorso in abusivismo professionale. Generalmente riconoscerete il personale non idoneo perché non indossa la croce dell’Ordine dei Farmacisti (che gli iscritti pagano, anche troppo, per portare al bavero). I titolari usano spesso laureati/e in erboristeria o magazzinieri. In genere preferiscono i laureati in erboristeria perché sono “dottori” (è una laurea breve, ma il titolo è quello) e gli fanno indossare il camice bianco. Quando andate in farmacia se proprio non volete denunciare il reato alle autorità, almeno smettete di frequentare quella farmacia! Andate nelle farmacie in cui viene utilizzato personale idoneo (sono stato in Toscana e mai ho visto in una farmacia degli abusivi, capita di essere fortunati, sono stato in centro a Torino e una magazziniera mi ha tranquillamente venduto un farmaco su ricetta, per non parlare di altre realtà, ma, purtroppo per me dire le cose come stanno è più difficile, perché porto quella croce; quella dell’Ordine, intendo, e le ripercussioni sarebbero pesanti). Fate la cosa giusta, rendete il mondo almeno un poco più giusto e attenuate la mia ulcera…

Buon ascolto!

sabato 30 aprile 2011

Oggi è sabato (The pains of being pure at heart e altro).

Sto ascoltando un album, preso dopo averne ascoltati alcuni brani, normalmente alla FNAC ci sono svariate postazioni in cui si può comodamente trovare qualcosa di piacevole. Il gruppo si chiama The Pains of Being Pure at Heart e l'album prende il titolo dalla prima traccia, o viceversa, "Belong". La musica mi ha accompagnato in auto e sul lettore di casa che ha un suono più pulito... trovo che gli autori abbiano fatto un eccellente lavoro, districandosi nella foresta dell'alt-indie-pop-rock-etc.; le melodie sono azzeccate, i testi sono ricercati senza essere forzati: "When you came from the door/ I was sure you never felt the floor". Ad alcuni potrebbero sembrare anche solo sdolcinati, ma i titoli e i riferimenti alla morte e alla vita rendono le canzoni livemente più complesse, e poi, ovviamente, vanno ascoltate.
Stavo leggendo "Generosity" di uno dei più grandi scrittori al mondo, Richard Powers, e a pagina 120, proprio quando i fili iniziavano ad annodarsi, il libro è scomparso, penso mi sia stato sottratto in farmacia dove lavoro, o almeno per quello che penso del luogo dove lavoro ci starebbe (i reati sono all'ordine del giorno: come in tutta Italia, non è un mistero per nessuno).
Quindi ho ordinato subito una copia di "Generosity" e, visto che c'ero, anche di un libro di DeLillo del 1976 (che Einaudi pubblica ora in hardcover... è l'Einaudi, d'altronde, cosa ci si può aspettare? Il fondo lo hanno già toccato, ed è da un pezzo che hanno iniziato a scavare, probabile che sbuchino agli antipodi, e, si spera, ci rimangano).
Ho iniziato questo post, dicendo che sono stato alla FNAC... Diverse librerie indipendenti hanno chiuso; in molti casi è un bene. Ora devo chiarire il concetto: se la libreria indipendente non possiede l'altissima qualità riscontrabile ad esempio alla CS (Cooperativa Studi) di Via Ormea, 69 a Torino, può chiudere tranquillamente, perché è un luogo inutile. Mi trovo perfettamente a mio agio, se non c'è una folla insopportabile, in posti come la FNAC; ad esempio sono stato alla Edison di Firenze e ho speso il 15% in più comprando gli stessi libri, che avrei potuto comprare alla FNAC, in una libreria con bar e tutto il resto (la disposizione dei libri non mi piace, alla FNAC è migliore: sapete se si mettono i libri per editore o genere, bisogna scriverlo ragazzi della Edison, comunque non ho capito come li disponete e non mi interessa, tanto non entrerò da voi neppure se diluvia; c'è il portico davanti...). Allora quando una piccola libreria chiude non mi dispero: in genere, non sempre ovviamente, sono gestite da persone che di libri ne sanno meno di me 15 anni anni fa (fare il confronto ora sarebbe come sparare sulla crocerossa), fanno pagare tanto, troppo, un servizio pessimo; chiudere è una buonissima cosa. Alla Edison con quello che ho speso mi avrebbero potuto regalare un segnalibro, magari anche due o tre, se proprio non vogliono fare alcuno sconto, invece di avere un atteggiamento odioso. Ora leggo "Voci dalla luna" di Andre Dubus pubblicato in una stupenda (come al solito) edizione dalla Mattioli 1885.

martedì 15 marzo 2011

Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler

Una miscela perfetta di western e noir, se ricordate che Leonard ha iniziato scrivendo racconti western, potete capire l’affinità tra i due generi (la raccolta di Leonard è disponibile in edizione Einaudi, tradotta benissimo). “Notte di sangue a Coyote Crossing” è il titolo italiano, più pittoresco dell’originale “The deputy” (L’aiuto sceriffo), e in effetti ci troviamo proprio a Coyote Crossing, Oklahoma: “Da come eravamo fuori mano non prendevano neanche i cellulari. E non c’era copertura satellitare. Era come vivere in un'altra cazzo di dimensione. Chissà perché si erano presi la briga di segnalarci sulle cartine stradali”.
Victor Gischler sa usare il linguaggio, calibrando ironia e fascino delle parole: “Mi accesi una sigaretta e aspirai a fondo, soffiando poi nella notte una lunga scia di fumo che restò immobile aspettando di scroccare un passaggio a una folata di vento”.
Cadaveri, intrighi, amore paterno, Gischler riduce le dimensioni dell’ambientazione per concentrarsi sui personaggi, però come nel precedente “Pistol Poets” sceglie di rimanere in Oklahoma, stato in cui ha insegnato, anche se da tempo vive in Louisiana.
Un romanzo breve asciutto che, tolto l’epilogo, si svolge tutto in una notte. Toby Sawyer, l’aiuto sceriffo appunto, in poche ore si lascerà alle spalle, definitivamente, i sogni della gioventù, per entrare nell’età adulta, un romanzo di formazione di poche ore, ma efficace e diretto. Il western di Ed Harris, in versione più ironica, ma non meno pericolosa, unito al noir di Elmore Leonard: la ricetta di Gischler appare semplice e a saper gestire la scrittura dà un risultato straordinario.
NOTA: in libreria dal 26 marzo.


Victor Gischler, “Notte di sangue a Coyote Crossing” (ed. or. 2010), pp. 207, 14 euro, Meridiano Zero, 2011.

domenica 20 febbraio 2011

Cake, The Decemeberists e Iron & Wine: tre splendide gemme.

We’re half-awake in a fake empire
We’re half-awake in a fake empire
The National
Iniziare l’anno con tre splendidi album non è cosa da poco. Ritornano, dopo una lunga attesa, i Cake con Showroom of Compassion: l’album si apre con una canzone apertamente politica, come accadeva nel CD Boxer dei The National (citato qui all’inizio), "Federal Funding": You'll receive the federal funding, you can have a hefty grant / Strategize this presentation, make them see that you're the man. L’album prosegue con una serie di canzoni tutte perfette, dalla sofferenza all’ironico sberleffo, niente è lasciato al caso. Le melodie sono sempre incisive, ma mai invadenti (si vedano Got to move oppure la nota Sick of You).
Un tributo al folk si può trovare in Bound Away.

Decisamente virato alle radici folk è l’album, altrettanto riuscito, dei The Decemberists, The King Is Dead: a rimarcarlo una foto in bianco e nero in un paesaggio agreste in cui spiccano una cavallo in corsa, dietro i musicisti, e la fisarmonica in primo piano. Il lavoro è ricco di spunti, di fantastiche canzoni, di cambi di ritmo come in “The Winter” dei Cake. Verso la chiusura l’album si apre al rock di “This is why we fight”, che affronta la questione posta dal titolo con un approccio più intimista della bellissima “Start a War” dei The National (sempre nell’album Boxer).


Una visione più intima e legata ai sentimenti è il motivo ricorrente nelle canzoni di Samuel Beam alias Iron & Wine, che si presenta al 2011 con un nuovo album: Kiss Each Other Clean. Beam è in grado di riprendere una melodia da Our Endless Numbered Days e poi trasformarla. Il disco è sempre in equilibrio, all’asprezza di “Rabbitt will run” segue la dolcezza di “Godless brother in love”. A voler sottolineare la continuità delle canzoni è anche il leaflet con i testi, che sfumano uno nell’altro. Tre album fantastici. Musica splendida che si avvicina alla pura gioia.


Discografia minima:
Cake Showroom of Compassion (2011)
The Decemberists The Hazards of Love (2009)
The Decemberists The King Is Dead (2011)
Iron & Wine Our Endless Numbered Days (2004)
Iron & Wine Kiss Each Other Clean (2011)
The National Boxer (2007)
The National High Violet (2010)

mercoledì 26 gennaio 2011

Peggior libro del 2010: Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda

La scrittura, infantile, ammorba l’aria; il testo, se presentato come lettura per le scuole medie, avrebbe un senso. Messo insieme alla mole di libri pubblicata, e con cui va paragonata, affonda. Pensate a capolavori come “Let The Great World Spin” di Colum McCann. Il ricatto del volume di Geda, assolutamente non voluto dall’autore, che presumo persona onestissima, sta nel narrare una vicenda dolorosa, di disperazione e redenzione che molti lettori prendono come un assoluto. Il giudizio è apodittico. Le lacune della trama, il fatto di non essere neppure lontanamente un’opera letteraria passano in secondo piano. Non ti piace? Sei un terribile misantropo. Per dire di questi volenterosi lettori di Geda: mi hanno anche insultato, perché non mi era piaciuto il libro. Pesantemente. Sono queste le deviazioni dell’etica che il lettore costantemente esprime con il suo giudizio o con l’acquisto di un volume (non l’ho pagato): la deriva culturale del paese non è imputabile ai vampiri o a Geda o a infreddoliti numeri primi, grava semplicemente sulle spalle degli entusiasti lettori, i volenterosi carnefici della letteratura, e sugli editori che danno spazio a questi aborti e anche ai loro elogi (le riviste sono ugualmente, anzi, doppiamente colpevoli), abdicando a una severità che è spirata almeno una decina d’anni fa. Rimangono pochi, resistenti, a volte inutili occhi a scrutare il deserto.

Per un attimo ritorna la calma, scarto il pacchetto, legato con lo spago, che racchiude la traduzione di Hidden Files di Derek Raymond. Là fuori esistono altre voci, altri mondi, altre menti. Schegge. Affrontare tutto questo orrore “a colpi d’ascia”, ripensando a quando, stupito e quasi commosso, leggevo Bernhard. Un secolo fa, ero al liceo. Tutti erano vivi.

domenica 23 gennaio 2011

Only in America

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Ho già ordinato il nuovo album degli Iron & Wine (scontatissimo, regalato quasi).

domenica 16 gennaio 2011

Cake Showroom of Compassion

Uscito da pochi giorni, la mia copia è ancora in North Carolina per essere impacchettata insieme al CD dei The Decemberists.
I gusti non sono gusti, sono un modo per distinguere [...].

I'm so sick of you
so sick of me
I don't want to be with you

I'm so sick of you
so sick of me
I don't want to be with you

I want to fly away
I want to fly away

I'm so sick of work
so sick of play
I don't need another day

I'm so sick of work
so sick of play
I don't need another day

I need to fly away
I need to fly away

Every shiny toy
That at first brings you joy
Will always start to croy and annoy

Every camera every phone
All the music that you own
Won't change the fact you're all alone (All alone! )

Every piece of land
every city that you plan
will crumble into tiny grains of sand

Every thing you find that at first gives you shine
always turns into the same old crime (Same old crime! )

I want to fly away
I want to fly away
I need to fly away
I need to fly away

(I'm so sick of you
so sick of me
I don't want to be with you)
(I'm so sick of you
so sick of me
I don't want to be with you)

Every little dance
Every hidden back romance
All alone (All alone! )
All alone


mercoledì 5 gennaio 2011

Queen of Denmark di John Grant

Marz
One two three four...

Bittersweet strawberry marshmallow butterscotch
Polarbear cashew dixieland phosphate chocolate
My tutti frutti special raspberry, leave it to me
Three grace scotch lassie cherry smash lemon freeze

I wanna go to Marz
Where green rivers flow
And your sweet sixteen is waiting for you after the show
I wanna go to Marz
You'll meet the gold dust twins tonight
You'll get your heart's desire, I will meet you under the lights

Golden champagne juicy grapefruit lucky monday
High school footall hot fudge buffalo tulip sundae
Almond caramel frappe pineapple rootbeer
Black and white pennyapple henry ford sweetheart maple tea

I wanna go to Marz
Where green rivers flow
And your sweet sixteen is waiting for you after the show
I wanna go to Marz
You'll meet the gold dust twins tonight
You'll get your heart's desire, I will meet you under the lights




martedì 4 gennaio 2011

Una vita come le altre di Alan Bennett

Alan Bennet ha una vita lunga, alle spalle. E’ nato nel 1934, quindi – anche se me lo immagino come un eterno ragazzino – siamo di fronte ad un uomo fatto. Un uomo che, per la prima volta, si misura in tutto e per tutto con sé stesso.
Le sue piece e i suoi romanzi sono ricolmi di aneddoti, situazioni ed equivoci che Bennet ha “prelevato” dalla sua variegata esperienza personale, ma qui siamo su un piano diverso. Qui la vita non è ispirazione, è materia narrativa.
Mi sono chiesta, leggendo: ma a me tutto questo interessa? Se non fosse la vita di uno scrittore che mi ha fatto sorridere e riflettere, mi interesserebbe davvero? E la risposta è: sì. Perché Bennet è uno straordinario narratore, e la passione, l’intelligenza, e soprattutto l’onestà che contraddistingue i suoi scritti, qui raggiungono livelli altissimi.
La sua famiglia, così ordinariamente normale, così tragicamente normale, giunge a noi vera, vivida, pulsante.
La madre, malata di depressione, schiacciata da due sorelle che amano il bel vivere e sono sfrontate e sorridenti, il padre, onesto e buono, timido, come la moglie, restio al sorriso eppure di una tenerezza e di una sensibilità commoventi. Il nonno materno suicida, il seme di una follia che lento e tenace percorre la storia dei Bennet, come una premonizione, una minaccia, una condanna.
Realismo e onestà.
Niente buonismi, né piagnistei.
Se Bennet deve dire che a volte non sopporta sua madre, che forse non ne sentirebbe tanto la mancanza, lo dice. Senza girarci intorno, senza giustificarsi. Riesce ad astrarsi pur rimanendo assolutamente partecipe, dimostrano un obiettività senza pari, ed una maturità che – credo – si possa raggiungere solo col tempo. Io di certo non sarei in grado, adesso, di manipolare la mia vita, plasmarla nelle mie mani per farne una storia, per consegnarla ad altre menti, altre mani, altre voci. La parola chiave, probabilmente, è: accettazione. Quando la maggior parte della nostra vita è alle spalle, quando i nostri occhi sono quasi stanchi per il troppo vedere, per il troppo guardare, allora ci scopriamo sereni nell’analizzare ciò che siamo, i luoghi ai quali apparteniamo, le persone che ci hanno accompagnato, in qualche modo, fino a quel punto.
Una vita come le altre.
Già.
Colma di quotidiane tragedie, quotidiane noie, quotidiane sorprese.
Il dolore è presente, pesante, quasi opprimente, ma Bennet ci dimostra magnificamente come si possa accarezzare tutto con una vena di intelligente, amara ironia.
Inoltre, è sempre sconsigliabile lasciarsi sfuggire qualcosa in mia presenza perché, da buon istrione, sono sempre pronto a spiattellarlo se penso di poter finire anche solo un istante sotto i riflettori. Le zie invece sono meno prudenti dei miei genitori e non perdono occasione di farmi commenti irrispettosi su mamma da bambina o anche mamma al presente. Durante la guerra penso spesso alla fortuna di essere nato in Inghilterra e non di vivere in un Paese occupato, per non dire in Germania: in realtà i veri fortunati sono mamma e papà, perché li consegnerei alla Gestapo senza battere ciglio, se questo significasse guadagnare il centro della scena.”
La semplicità di un uomo che ha due completi: il solito e l’elegante, che se si sforza di sorridere sembra Somerset Maugham corrucciato, che resta accanto ad una moglie ferita, terrorizzata, che teme tutto e tutti e si smarrisce nei meandri di una mente impazzita. La solidarietà tra i genitori di Bennet, la loro complicità, fatta di cose semplici, fatta di “cose noiose”, fatta di “non siamo adatti a questo”, fatta di distanze, è straordinaria; crea quasi una sorta di invidia, perché la verità è che tutti vorremmo questa tenacia, questa forte, indissolubile relazione, forse intrisa di ordinarietà, ma salda attraverso il buio e solida in un mare di luce.
Una delle immagini più belle è quella del matrimonio, organizzato dal padre la mattina presto, quasi di fretta e in completa solitudine, per evitare a una moglie terrorizzata da folle e convenzioni un inutile circo.
Ecco perché non c’era la foto sulla credenza o nel cassetto della toilette. Alle otto di una fuligginosa mattina di settembre doveva esserci poca luce, senza contare che per scattare la fotografia ci voleva tempo, e comunque mio padre avrebbe etichettato la faccenda come ‘cancan’. Ma se io fossi un poeta scriverei di quei momenti nella grande chiesa vuota, dello sposo sulle spine, in abiti da lavoro, della sua sposa titubante, e del vicario, uomo di mondo, in piedi sui gradini dell’altare ad aspettare i rintocchi della campana: la pausa prima del via.”
Bennet ci consegna un universo, una vita, un quadro colmo di colori, sfumature, imprecisioni. Non uno di quei capolavori che lasciano senza fiato; piuttosto, uno di quei quadri che vorremmo con tutto il cuore aver dipinto noi, imperfetti e assolutamente autentici, specchi di ciò che siamo, echi di ciò che siamo stati e finestre su ciò che ci apprestiamo ad essere.
(Chiara Biondini).