giovedì 15 ottobre 2009

Blog Action Day: Collasso di Jared Diamond

"Bush ha annunciato di voler combattere lo scioglimento dei ghiacci: per prima cosa invierà 20.000 soldati sul Sole" David Letterman
[Recensione scritta durante la seconda presidenza di George W. Bush]
L’estinzione della razza umana è al centro dell’opera di Jared Diamond: non stiamo parlando di un libro di oscure profezie apocalittiche (e vedremo che anzi il messaggio è in fondo positivo), Diamond, l’autore del fortunato e brillante “Armi, acciaio e malattie”, analizza vari esempi antichi e moderni di civiltà che si sono estinte o sono state sul punto di farlo; l’elenco non è breve: Anasazi, abitanti dell’Isola di Pasqua, i Maya, i Vichinghi della Groenlandia, il massacro del Ruanda. La lista continua. L’autore esamina con attenzione ogni evento, riportando tesi diverse. Le pratiche attraverso cui le società passate hanno messo a rischio se stesse con la distruzione del proprio habitat rientrano in otto categorie: deforestazione, cattiva gestione delle risorse idriche, gestione sbagliata del suolo, eccesso di caccia, eccesso di pesca, introduzione di nuove specie, crescita della popolazione umana e l’aumento dell’impatto sul territorio di ogni singolo di individuo. A questi otto pericoli la nostra attuale società somma: “cambiamenti climatici dovuti a intervento umano, accumulo di sostanze tossiche nell’ambiente, carenza di risorse energetiche ed esaurimento delle capacità fotosintetiche della terra”. Diamond nella peggiore delle ipotesi avanza lo scenario di una crisi globale con un futuro caratterizzato da standard di vita “significativamente inferiori a quelli odierni”. D'altronde l’autore è stato consulente per alcune aziende petrolifere, ha conosciuto il mondo dell’ecologia sia radicale, sia applicata dalle industrie stesse (perché un minor impatto ambientale significa meno danni da cause civili e alla lunga maggiori profitti… la cosa non vale per la Cina, a cui viene ovviamente dedicato un capitolo: l’immagine dei milioni di metri cubi di spazzatura che si accumulano nelle periferie di alcune città se non è apocalittica, attinge molto alla cupa rappresentazione del futuro di un autore come Philip K. Dick). Lo studio degli errori commessi da altre civiltà dovrebbe, a parere dell’autore, permetterci di compiere le scelte giuste ora.
Una grande differenza tra pericoli odierni e quelli del passato è data dalla globalizzazione, che sta al cuore delle ragioni più forti di pessimismo e di ottimismo circa la nostra capacità di risolvere gli attuali problemi ambientali. La globalizzazione impedisce che una società moderna possa crollare in isolamento, come successe agli abitanti dell’Isola di Pasqua. Un qualsiasi paese, non importa quanto remoto e in preda a disordini interni, può causare problemi alle società più prospere situate in altri continenti ed è a sua volta sotto la loro influenza, sia essa benefica o destabilizzante”.
In uno dei capitoli più appassionati del libro, Diamond spiega come i problemi del mondo siano problemi di tutti. Cita come esempio l’Olanda dove esiste una stretta interdipendenza tra tutti i segmenti della società, (il capitolo, non a caso, è intitolato “Il mondo è il nostro polder”) evidenziando una differenza netta con la società anglosassone:
Negli Stati Uniti, i ricchi cercano di isolarsi dal resto della società, utilizzano servizi privati, ma sono ferocemente contrari a un aumento delle tasse che permetterebbe a tutti di godere di tali servizi, pagati però dallo stato. I cittadini facoltosi si stanno ritirando in residence cintati e impenetrabili, si affidano a una polizia privata… Il presupposto di questa tendenza alla privatizzazione è l’errata convinzione che l’élite possa rimanere estranea ai problemi della società circostante: è lo stesso atteggiamento dei capi Groenlandesi che alle fine si dovettero rendere conto che l’unico privilegio che si erano assicurati era quello di essere gli ultimi a morire di fame”.
Uno dei problemi maggiori della nostra società è sapere fare le scelte giuste, purtroppo, ammette Diamond molti degli attuali governanti segue la cosiddetta “politica dei 90 giorni”, ovvero tre mesi sono il massimo orizzonte temporale da prendere in considerazione. Suppongo che con Bush si parli di “politica delle 90 ore”. Nella Repubblica Dominicana un personaggio assai discutibile come Balaguer è riuscito a ridurre l’impatto ambientale di molte industrie con leggi ferree e adottando metodi poco democratici, però l’autore, come chiunque giunga sulla ex isola di Hispaniola da un aereo, non potrà non notare una metà del territorio quasi completamente disboscata (Haiti) e una metà ricca di una lussureggiante vegetazione. Diamond cita altri esempi positivi, ma il caso di Balaguer gli permette di affermare una verità fondamentale: “Ci dà fastidio scoprire che qualcuno che ammiriamo per una particolare virtù, non è per altri versi altrettanto virtuoso. E’ difficile riconoscere che non siamo coerenti con noi stessi in ogni aspetto della nostra personalità”. Ho volutamente citato il caso di Balaguer, perché permette di illustrare la ricchezza di questo saggio: ormai possiamo leggere un romanzo di James G. Ballard come un trattato sociologico (si vedano “Millenium People” o “Regno a venire”), oppure un saggio profondo e ricco di informazioni scientifiche come un romanzo, nel senso migliore del paragone sia ben chiaro. Diamond riesce a essere interessante anche quando parla delle escrezioni fecali dei ratti attraverso cui è possibile ricostruire la storia di un particolare habitat. Alla fine della sua vasta opera, Diamond si dichiara cautamente ottimista: infatti noi siamo i primi a trovarci di fronte al rischio di un declino globale, ma siamo anche i primi “ad avere l’opportunità di imparare velocemente dalle esperienze delle altre società a noi contemporanee o del passato. Ecco la ragione per cui ho scritto questo libro”. Il problema effettivo sta in un avverbio: “velocemente”. La politica dei 90 giorni non ci rassicura, ma nemmeno il fatto che in Italia, dove come in molti stati i protocolli di Kyoto sono stati ratificati già da due anni, le emissioni di gas serra sono aumentate del 12% rispetto a quelle del 1990, mentre l’impegno preso era quello di ridurle del 6,5% rispetto a quelle del 1990… la conclusione è che ho fatto bene a visitare Amsterdam due estati fa. D'altronde, come diceva Woody Allen: “Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti”.

sabato 10 ottobre 2009

Il maledetto United di David Peace

La storia è quella di Brian Howard Clough, giocatore e poi allenatore, circondato da un’aurea mitica. Partito da una squadra di terza divisione, approdato al Derby, dove ha imposto il suo gioco, la sua ossessione. David Peace racconta, da una parte i quarantaquattro giorni passati come allenatore del Leeds United, già vincitore del titolo nella stagione ’72-’73, dall’altra le tappe del percorso di Clough. L’infortunio che lo ha fermato a 251 goal in 274 partite di campionato. Poi la carriera da allenatore. La scalata verso la prima divisione. La vittoria del campionato con il Derby County. E poi quei quarantaquattro giorni. Però questa non è una storia di figurine e statistiche, di aneddoti e descrizioni. E’ un bollettino di guerra. Peace trascina il lettore nella sua scrittura anfetaminica. Leggo 20 pagine e ne voglio leggere 40. Ne leggo 40 e voglio continuare. Ho finito di lavorare tardi. Sono rientrato alle 11 di sera. Non mi stacco dal libro. Lo poso. E la cadenza della prosa di Peace mi martella il cervello. Nella notte. Attendo l’oblio del sonno. Non posso non ricordare. La stagione è quella del 1973-74. 1974. Un anno. Un titolo. Il primo volume del Red Riding Quartet. E la città. La stessa. Leeds. “Spunta il sole, ma la pioggia non smette. Oggi niente arcobaleno. Non qui”. Il suo primo romanzo lo ricordo. “1974”: un pugno nello stomaco. I volti esangui intorno. Il ritmo telegrafico di Ellroy, la paura di un bambino cresciuto nello Yorkshire, l’epoca scandita dai crimini che lo circondano: qualcosa di terrificante nei rivoli della pioggia, nelle nuvole in cielo. La scossa del whisky a stomaco vuoto. Niente di male. Ma sono le 7 del mattino.
Peace non si può descrivere. E’ un autore che assorbe ogni energia. Trascina. Corre. E’ l’opposto di Mazzantini e dei suoi lettori. Di Lilin e dei suoi lettori. Di Canin e dei suoi lettori. Degli scrittori fasulli e delle loro schiere di appassionati. Ossa fragili per sorreggere gangli nervosi in corto circuito. Una folata di vento per abbatterli. Non basta. Sono troppi. Troppo tardi. Un cancro metastatizzato. Abbiamo solo palliativi. Abbiamo solo la vera letteratura. E ancora non basta. E non basterà mai.

Il maledetto United” è un romanzo tormentato in ogni riga, il campo è un luogo di guerra. I destini si decidono sopra il manto erboso. Peace non vuole essere epico. Non c’è niente di epico. L’epica è una favola per cervelli bruciati. Brian Clough puzza di brandy e sigarette. Odia la sua squadra. Odia gli arbitri comprati. Odia il gioco sporco “del fottuto, maledetto Leeds”. Appena arriva brucia la scrivania del precedente allenatore, Don Revie. Brucia i dossier sugli arbitri. “Fortuna, allora, che ne abbiamo fatto una copia” gli dice Syd, il preparatore atletico. Don Revie, allenatore dell’anno, scudetti e trofei. Il manipolatore del gioco del Leeds. Il gioco sporco. La sua firma ovunque. “Non la mia squadra” ripete Brian. Solo il fottuto, maledetto Leeds. Come in Ellroy, anche in Peace la ripetizione impone il ritmo. La frase si spezza. La storia mai.
E con le parole, ormai dal sapore antico, “Coppa dei Campioni”, Peace si sposta nel 1979. Ci ricorda che, sebbene sempre mescolata a una punta di amarezza, la felicita è là. Per Brian. Per David stesso, che accompagna i bambini a scuola, e poi scrive e corre, per noi, sul filo della follia. Per noi, molti o pochi, ma non per tutti: maledetti fottuti idioti.