Dopo che Pacchiano su Il Sole 24 Ore (ma prima di lui Genna) lo ha paragonato (si parva licet) a “Il giovane Holden” è difficile scrivere qualcosa che renda giustizia allo straordinario esordio di Frascella. Inoltre i riferimenti a Bukowski e Fante sono stati già fatti. Eliminato così il retroterra culturale, o almeno quello più ingombrante, rimane la materia narrativa. E qui ne troverete in abbondanza. Non è possibile non amare questo protagonista perdente ed ironico. Frascella coinvolge il lettore in un passo a due al ritmo delle martellate sul muro di Berlino (il libro è ambientato tra il 1989 e il 1990).
Importante registro stilistico è quello dettato dall’ironia, amara o puramente divertente. Una professoressa può essere, nello stesso paragrafo, una bellezza o una tardona con le tette mosce. Dipende. Frascella o meglio il suo protagonista, l’adolescente che dà inizio al libro con una rissa nel cortile della scuola, rivisita i luoghi comuni trasformandoli in qualcosa d’altro: letteratura. Facile a dirsi.
Però l’autore non gioca solo su un registro ironico, sa anche parlare d’amore, quello tra il protagonista e Chiara, in modo mai lezioso: quando la vede appoggiata a un cancelletto arrugginito "la sua posizione era come il verso di una poesia che non se ne va più via dalla testa finché non muori”. Qui è il contesto che conta, la posizione del corpo, il vecchio cancello, lo squallore della periferia confrontato all’amore, il tutto espresso in poche righe. E’ sempre questione di equilibrio. E’ sempre letteratura.
Il rapporto con il padre, chiamato solo “il Capo” è il sentimento dell’amore filiale depurato dalle idiozie: amore e conflitto. Mi sembra che in tutto il romanzo l’autore sia stato attento a non dire nulla di più del necessario. Questo non è assolutamente un romanzo avvicinabile allo stile minimalista. Pur costellato di richiami filmici a volte espliciti, altre volte più celati, gli eventi narrati arrivano al lettore senza nessuna trappola letteraria.
Più complesso del romanzo di Cisi, che volutamente si rinchiude nelle mura della fabbrichetta, può in parte ricordarlo per i passaggi sul lavoro come apprendista operaio, però -si è detto- “Mia sorella è una foca monaca” (oppure col titolo originale “I Fuochi di Sant’Elmo”) è un’opera più complessa. E’ un romanzo di formazione e insieme un grido disperato di salvezza di fronte alla vita, mescolato a un’ironia bagnata dalle lacrime.
2 commenti:
lo sapevo! lo sapevo che quell'orribile titolo non poteva essere l'originale!!! :)
(recensione... spettacolare. chapeau con immensa invidia)
Enzo tu dovresti scrivere sull'inserto cultura di un grande quotidiano,mica scherzo!
Sei bravo.Bravo veramente.
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