“Nessun nostro gesto era abbastanza stravagante, nessuna brutalità troppo barocca”.
“La lingua di Canaan” è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2005. Al centro della vicenda narrata: il Redentore. Ovvero Thaddeus Morelle (figura realmente esistita), che liberava gli schiavi e poi li rivendeva, promettendo loro una parte del denaro ottenuto per permettergli una comoda fuga negli Stati del Nord. “Un negro veniva venduto anche tre o quattro volte, poi, per evitare il rischio di essere scoperti, si eliminava l’unico testimone, vale a dire il negro stesso, gettandone il corpo nel Mississippi”. In poche parole è questa l’anima del “Commercio”: un’entità quasi surreale che unisce i vari personaggi negli anni intorno al 1862 e all’Isola 37 contesa tra gli Stati confinanti e con una giurisdizione alla Deadwood.
John Wray si sposta di personaggio in personaggio lasciando come un’impronta in ognuno, la lingua si muove a scatti, la narrazione danza intorno a Virgil Ball, Clem Gilchrist, il Colonnello, Asa Trist, Kennedy, Delamare. Lo stile inghiotte la storia. La scrittura si addensa in espressioni che evocano suoni o colori. Wray nella foga narrativa fa apparire sensazioni ovunque. Rende dialoghi e personaggi una cosa sola.
John Wray ha percorso il Mississippi un secolo e mezzo dopo i fatti realmente accaduti, “La lingua di Canaan”, oltre al frutto di una narrazione eccezionale, riesce in parte a restituire il volto di una Nazione. Brandelli. Acque torbide. “Questa nazione fu fondata sulla fede -sulla pura e semplice credulità- proprio come la Francia è stata fondata sullo scetticismo. No, mio caro, l’illuminismo non fa per noi”.
L’unica pecca del libro è l’eccesso di bravura dell’autore. “La lingua di Canaan” manca l’equilibrio raggiunto da Colson Whitehead in “John Henry Festival”. Wray rilegge il passato con lo sguardo della letteratura ipercreativa, ma sbalordire non è obbligatorio (sebbene non sia vietato).
“…le sue dita sporche non trovano alcun appiglio. La lettera di Harvey, le sephiroth, perfino il nome ‘lingua di Canaan’, più che indizi per la risoluzione di un grande rompicapo, d’un tratto paiono la battuta finale di una barzelletta”.
La lingua inghiotte tutto.
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