Genna esplora pulsioni e fantasie. Finge di fingere. Non finge e questo significa che i fatti sono veri o che i fatti sono inventati.
“Italia De Profundis” è il romanzo allo stadio terminale. Niente può spingersi oltre. L’urlo si mescola ai rantoli. Più volte siamo di fronte a un corpo ribelle, la lingua strazia l’aria. Di piacere o di dolore. Eroina. Incontri sadomaso con Drag Queen. Eutanasia. Oppure MySpace di Rupert Murdoch. L’ultima abiezione prima del villaggio turistico a Cefalù nell’estate del 2007.
Il rumore delle parole sulla pagina si avvicina alla rasoiata. Dell’acqua o del metallo. Il sapore anche è metallico e salmastro: sodio cloruro allo 0,9% ed emoglobina.
Racconta se stesso Giuseppe Genna. Sfrutta il consiglio di un finto scrittore per scrivere veramente. Puntualizza e chiosa. L’anno è lo sventurato 2007. E tutti i momenti che lo hanno preceduto e lo seguono. Anche il gesto di leggere è “romanzo”. La struttura è lineare. Non capisco a chi voglia parlare. Eppure parla. Consumo una matita per prendere appunti (in realtà poca grafite). Diamante e grafite, entrambi di carbonio. Cambiano legami e struttura. Cambia tutto.
Le parole. Le lettere. La punteggiatura. Il romanzo si aggroviglia e sembra in pieno deragliamento. Rimastica i frammenti della lingua. Affonda nelle “misinterpretazioni”. Si affida alla disintossicazione come principio di realtà. “La disintossicazione, non la fruizione di sostanze, è l’espansione della coscienza”.
Genna traccia una strada. Brucia le tracce. E la “pirosi ultima” di cui parla più volte. Più volte prima che si manifesti realmente.
La ragnatela dei collegamenti è un’immagine impressa sulla retina. Esiste nella memoria delle sinapsi. S’incrocia nel chiasma ottico. Il lettore si perde. Si deve perdere, come per la disintossicazione, per acquistare senso, un livello di attenzione maggiore.
E’ tutto finito. E’ un capolavoro, e sono stufo.
“Italia De Profundis” è il romanzo allo stadio terminale. Niente può spingersi oltre. L’urlo si mescola ai rantoli. Più volte siamo di fronte a un corpo ribelle, la lingua strazia l’aria. Di piacere o di dolore. Eroina. Incontri sadomaso con Drag Queen. Eutanasia. Oppure MySpace di Rupert Murdoch. L’ultima abiezione prima del villaggio turistico a Cefalù nell’estate del 2007.
Il rumore delle parole sulla pagina si avvicina alla rasoiata. Dell’acqua o del metallo. Il sapore anche è metallico e salmastro: sodio cloruro allo 0,9% ed emoglobina.
Racconta se stesso Giuseppe Genna. Sfrutta il consiglio di un finto scrittore per scrivere veramente. Puntualizza e chiosa. L’anno è lo sventurato 2007. E tutti i momenti che lo hanno preceduto e lo seguono. Anche il gesto di leggere è “romanzo”. La struttura è lineare. Non capisco a chi voglia parlare. Eppure parla. Consumo una matita per prendere appunti (in realtà poca grafite). Diamante e grafite, entrambi di carbonio. Cambiano legami e struttura. Cambia tutto.
Le parole. Le lettere. La punteggiatura. Il romanzo si aggroviglia e sembra in pieno deragliamento. Rimastica i frammenti della lingua. Affonda nelle “misinterpretazioni”. Si affida alla disintossicazione come principio di realtà. “La disintossicazione, non la fruizione di sostanze, è l’espansione della coscienza”.
Genna traccia una strada. Brucia le tracce. E la “pirosi ultima” di cui parla più volte. Più volte prima che si manifesti realmente.
La ragnatela dei collegamenti è un’immagine impressa sulla retina. Esiste nella memoria delle sinapsi. S’incrocia nel chiasma ottico. Il lettore si perde. Si deve perdere, come per la disintossicazione, per acquistare senso, un livello di attenzione maggiore.
E’ tutto finito. E’ un capolavoro, e sono stufo.
1 commento:
Genna è un povero coglione. forse non esattamente povero. V-I H-A F-R-E-G-A-T-O.
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