lunedì 16 febbraio 2009

La città dei ladri di David Benioff

Leningrado, 1941. Una città devastata, pressochè in rovina, dove le uniche costanti sono giornate passate a sopravvivere e notti scandite da bombe e sirene d'allarme. Una città sotto assedio costante, che resiste testarda ai tedeschi che avanzano pian piano.
Lev è un diciassettenne dal naso grosso, figlio di un poeta ebreo prelevato dalla polizia sovietica. E' un ragazzo forte solo perchè così sembra andare di moda, perchè ad essere uomini bisogna imparare presto.

Con un gruppo di amici "gioca" a fare il soldato, convinto di esserci portato, volendo esserlo. Una notte viene catturato dalla polizia russa dopo essere stato scoperto mentre con gli amici razziava il cadavere di un paracadutista tedesco. In prigione incontra il suo esatto opposto, per colori, idee, temperamento, carattere.
Kolja, nome assolutamente russo, aspetto russo, carattere coraggioso, scanzonato, pose da uomo che sa come vanno fatte certe cose. Accusato di essere un disertore, quando poi scopriremo nel romanzo che la sua defezione dall'esercito era stata causata da motivi molto più "terra terra".
Passano insieme quella che forse sarà la loro ultima notte, perchè la Russia ne
l 1941 è un brutto posto non solo per gli invasori ma anche per i ladruncoli, i disertori, i poeti anticonformisti, e chiunque la pensi in modo troppo indipendente.
Ed ecco la svolta: il capitano non li uccide, dà invece loro una missione, che potrebbe apparire assolutamente ridicola se non fossimo in un'epoca dove tutto è merce rara.
12 uova. 12 uova per la torta di nozze della figlia. 12 uova, e avrann
o salva la vita.
Due ragazzi agli antipodi in una ricerca che scivola nel grottesco di pala
zzi abitati da cannibali, nella tenerezza disperata di bambini che vegliano galline morte, nel calore di momenti rubati su materassi sudici.
Una ricerca che porta fuori Leningrado e oltre le linee naziste, che si scontra con un gruppo di ribelli.
Benioff trova una narrazione precisa, fluida, che si muove tra vari registri, strappando ora un sorriso, ora un sussulto, ora un moto di puro ribrezzo.
Nello scorrere delle pagine c'è posto per la compassione, per l'umanità, ma anche per la grettezza, la solitudine, l'odio vicendevole che in tempo di guerra rende allo stesso tempo tutti lontani e tutti vicini.
Un buon libro, un autore che si scopre bravo nel trasportarci in un'avventura dal sapore agro.
Unica, piccola pecca: l'essersi lasciato andare ad un finale prevedibile; ma la perfezione è merce rara, oggigiorno.

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