lunedì 6 ottobre 2008

Teste mozzate bollite. Irvine Welsh non gioca a dadi, gioca subbuteo.

E la gente non vuole la rivoluzione permanente, vogliono rilassarsi ogni tanto

Jenni e Jason imprigionati nel Fife, regione della Scozia a Sud di Edimburgo, sono i protagonisti del nuovo romanzo di Irvine Welsh, “Una testa mozzata”. Il titolo originale è “The Kingdom of Fife”, ma una testa mozzata (e anche un bel pentolone) compare effettivamente nel libro, e poi è un titolo che fa più “Welsh” e permette a Guido Scarabottolo di firmare un’altra copertina per Guanda. Ormai i tratti del disegno scarabottoliano sono una cifra distintiva dell’Editore, che nella prefazione di un catalogo elogiava Scarabottolo e quindi se stesso che lo aveva scelto con un’autoleccata di culo che non si vedeva da tempo, ‘calatroia. Il romanzo è pieno di questo linguaggio lievemente grezzo cioè tipo:
Ai tempi avrei potuto rompere tutte le fregne del Fife, cazzo, porcalatroia”.
Alcuni criticoni hanno detto che tutti ‘sti cazzi, ‘calatroia, stronzi, cagate et similia sono pretestuosi: che andassero pure affanculo.
Il romanzo alterna il racconto in prima persona di Jason e Jenni, con relativo cambio di registro (con lei ci sono meno imprecazioni), ma in fondo il succo è quello: due giovani che vivono ancora con i genitori e hanno sogni di fuga, soprattutto dal Fife. Il romanzo è oro nero (non il petrolio, ma la Guinness), autoerotismo, partite a subbuteo, e molto altro.
La traduzione di Massimo Bocchiola riesce a rincorrere il filo, non sempre evidente, della scrittura di Welsh e mi ha fatto pensare a come sarebbe venuta fuori ‘sta roba se a tradurla fosse stato quel testa-moscia di N.G., che gli serve una flebo di Levitra anche solo per tenere ritta una penna, ‘calatroia, caromio.
Comunque il romanzo funziona. Welsh è un autore abile in grado di dosare realtà, ironia e situazioni grottesche senza mandare tutto a puttane. Insomma, è ovvio che alle spalle della scrittura volutamente rozza e traballante sia presente un lungo lavoro di revisione: un narratore in prima persona come Jason può sbottare in “il tanfo della disperazione è un bromuro sociale”, solo se pagina dopo pagina il personaggio è reso credibile. Welsh non usa figurine ritagliate o giocatori del subbuteo come personaggi dei suoi romanzi, quello son bravi a farlo gli scrittori fighetti appena usciti da un corso di scrittura creativa. Nella ripetitività delle imprecazioni è contenuto il ritmo, mentre la melodia è tutto il resto, è la scrittura di Welsh, autore capace di mantenere una propria cifra stilistica insieme all’originalità: un’impresa non da poco.

1 commento:

domenico ha detto...

devo procurarmelo
welsh mi garba abbastanza