“Breve storia di una piccola città” di breve non ha nulla, infatti è lungo 550 pagine, mentre di piccolo ha sicuramente il talento dell’autore. Da più parti questo viene definito un libro divertente. Forse nel 1985 quando è stato scritto l’umorismo aveva altre regole e ritmi, ma non credo sia un problema di tempo e di gusti. Thomas Reid Pearson di Winston-Salem, North Carolina, scrive usando lunghi periodi barocchi per drappeggiarli intorno al nulla. Perché è precisamente di questo che parla il romanzo: di niente. La storia corale dei vari personaggi che popolano l’immaginaria città di Neely è un’inutile elenco di fatti che non vengono nobilitati dalla poesia o dall’arte dell’autore, ma rimangono poveri esempi di un narrare collassato su se stesso.
Sempre il lettore è in grado di capire, generalmente un’ora prima, dove vuole andare a parare l’autore. Sappiamo che qui sta iniziando a costruire una situazione grottesca, che tra poco arriverà l’inevitabile battuta comica che non farà ridire nessuno, che il tono virerà verso il tragico, ed il lettore è sempre avanti rispetto all’autore. Thomas Reid Pearson di Winston-Salem, North Carolina, è uno scrittore che indugia sulle parole, coccolandole, se sapesse scrivere questo sarebbe un dono, purtroppo invece sarebbe stato un bene per tutti se avesse continuato a fare l’imbianchino. Il libro nel 1985 è stato salutato dalla critica americana come un esordio narrativo straordinario. Nel 1985 usciva anche “Meno di zero” di Bret Easton Ellis che raccontava con altro stile una realtà lievemente diversa da questa placida arcadia del Sud: da una parte la Los Angeles della band “X” e degli eccessi, dall’altro il paesaggio di Thomas Reid Pearson, un luogo ottuso e ovattato, il Sud, però non quello di “Deliverance” (“Un tranquillo weekend di paura”) di John Boorman, in T. R. Pearson siamo di fronte a un Sud immaginato, un luogo conservato sotto ettolitri di benzodiazepine. Un anno dopo “Breve storia di una piccola città” usciva il film “Blue Velvet” di David Lynch che raccontava ancora con tutt’altro stile, per fortuna, l’inquietudine nascosta dietro la placida facciata della provincia americana. Guardando il romanzo nel suo contesto e considerando che il film “Deliverance”, tratto dal romanzo di Dickey, è del 1972, viene da chiedersi perché a distanza di ventitre anni un’opera tanto inutile venga tradotta e pubblicata in Italia: il mistero è celato in qualche mente che lavora presso la Elliot Edizioni di Via Isonzo 34, 00198, Roma.
Il finale del libro sembra una ribellione verso la marcia funebre che accompagna l’intero romanzo e suscita una debole compassione. La comicità o ogni sentimento che filtra attraverso la scrittura di Thomas Reid Pearson di Winston-Salem, North Carolina (ora vive in Virginia, ma non viene detto dove, per tutelare la sua vita suppongo), ogni sentimento filtrato attraverso il vuoto della scatola cranica dell’autore è una pallida eco di un’idea che forse, ma è un’ipotesi, forse in altre mani sarebbe potuta essere qualcosa di originale. Il lettore intuisce che T. R. P. vuole davvero raccontare qualcosa, ma proprio non è in grado di farlo. Vuole essere comico, vuole, vuole e non ci riesce.
Pearson ha collaborato alla sceneggiatura di alcuni film tratti dalle opere di John Grisham. Questo è scritto nelle sue note biografiche, proprio alla fine, e suona come un epitaffio. Spero che la Elliot Edizioni di Via Isonzo 34, 00198, Roma, eviti di tradurre altre opere di una noia devastante come questa.
Sempre il lettore è in grado di capire, generalmente un’ora prima, dove vuole andare a parare l’autore. Sappiamo che qui sta iniziando a costruire una situazione grottesca, che tra poco arriverà l’inevitabile battuta comica che non farà ridire nessuno, che il tono virerà verso il tragico, ed il lettore è sempre avanti rispetto all’autore. Thomas Reid Pearson di Winston-Salem, North Carolina, è uno scrittore che indugia sulle parole, coccolandole, se sapesse scrivere questo sarebbe un dono, purtroppo invece sarebbe stato un bene per tutti se avesse continuato a fare l’imbianchino. Il libro nel 1985 è stato salutato dalla critica americana come un esordio narrativo straordinario. Nel 1985 usciva anche “Meno di zero” di Bret Easton Ellis che raccontava con altro stile una realtà lievemente diversa da questa placida arcadia del Sud: da una parte la Los Angeles della band “X” e degli eccessi, dall’altro il paesaggio di Thomas Reid Pearson, un luogo ottuso e ovattato, il Sud, però non quello di “Deliverance” (“Un tranquillo weekend di paura”) di John Boorman, in T. R. Pearson siamo di fronte a un Sud immaginato, un luogo conservato sotto ettolitri di benzodiazepine. Un anno dopo “Breve storia di una piccola città” usciva il film “Blue Velvet” di David Lynch che raccontava ancora con tutt’altro stile, per fortuna, l’inquietudine nascosta dietro la placida facciata della provincia americana. Guardando il romanzo nel suo contesto e considerando che il film “Deliverance”, tratto dal romanzo di Dickey, è del 1972, viene da chiedersi perché a distanza di ventitre anni un’opera tanto inutile venga tradotta e pubblicata in Italia: il mistero è celato in qualche mente che lavora presso la Elliot Edizioni di Via Isonzo 34, 00198, Roma.
Il finale del libro sembra una ribellione verso la marcia funebre che accompagna l’intero romanzo e suscita una debole compassione. La comicità o ogni sentimento che filtra attraverso la scrittura di Thomas Reid Pearson di Winston-Salem, North Carolina (ora vive in Virginia, ma non viene detto dove, per tutelare la sua vita suppongo), ogni sentimento filtrato attraverso il vuoto della scatola cranica dell’autore è una pallida eco di un’idea che forse, ma è un’ipotesi, forse in altre mani sarebbe potuta essere qualcosa di originale. Il lettore intuisce che T. R. P. vuole davvero raccontare qualcosa, ma proprio non è in grado di farlo. Vuole essere comico, vuole, vuole e non ci riesce.
Pearson ha collaborato alla sceneggiatura di alcuni film tratti dalle opere di John Grisham. Questo è scritto nelle sue note biografiche, proprio alla fine, e suona come un epitaffio. Spero che la Elliot Edizioni di Via Isonzo 34, 00198, Roma, eviti di tradurre altre opere di una noia devastante come questa.
Nessun commento:
Posta un commento