“Io vivo nella speranza che si manifesti una grande sorpresa in quello che è pur sempre un contesto favorevole: il cameratismo tra colleghi, l’amicizia, l’amore, la passione. Solo che, quando i fatti sono chiari e definiti, non riesco a sopportarlo e fuggo via più in fretta che posso […]. E’ esattamente come quando si era giovani e si pregustavano le vacanze in famiglia, e poi a viaggio finito ci si ritrovava faccia a faccia con gli involucri dei propri sogni e con la paura che la vita sarebbe stata nel complesso proprio così, gli involucri vuoti dei tuoi sogni sparsi intorno a te. Suppongo che avrò sempre paura che qualsiasi cosa sia, sia così”.
La struttura narrativa è semplice. L’anniversario della morte del primo figlio. Un viaggio a Detroit con una giovane infermiera anche lei divorziata. Il giorno di Pasqua. Però qui non risorge nessuno. Anzi. E a concludere il tutto un epilogo situato a mesi e chilometri di distanza. Un esile, ma fondamentale frammento della lente attraverso cui Richard Ford racconta “l’unica verità che non può essere una menzogna, la vita stessa: la cosa che accade”.
“Sportswriter” è una lunga narrazione in prima persona della vita di Frank Bascombe, un giornalista sportivo di trentotto anni. Nel presente del racconto si inseriscono, senza soluzione di continuità, lunghi passaggi dove i ricordi sono rivissuti attraverso lo sguardo dell’esperienza. Siamo definiti più dalle nostre sconfitte, che dalle vittorie. Ford racconta semplicemente di Frank e coinvolge il lettore in una vita suscitando “un piacere che ha una disperata sfumatura di desiderio”.
La scrittura avvolge il lettore. Le parole assumono una consistenza densa. Gli eventi narrati sono momenti del quotidiano e solo attraverso gli occhi del lettore acquistano un nuovo significato.
Parlando della sua breve esperienza come insegnante Frank si lancia in un attacco contro le epifanie joyciane; Ford non insegue le epifanie, perché non ne ha bisogno. E avvicinandosi alla vita nella sua continua sottrazione e aggiunta di eventi, nella sua algebra delirante dove il risultato è sempre inaspettato, che Ford riesce a raccontare Frank Bascombe. Alcuni potrebbero annoiarsi, forse. Probabilmente sono le stesse persone che arrivano a definire noioso “Underworld” di DeLillo. Non voglio paragonare le due opere. Troppo diverse. E’ una questione di ritmo e di stile. Simili la consistenza delle parole e l’emozione di alcune scene, come quella vicino al Ground Zero Burg (il libro è del 1986) dove Frank parla con una ragazza sconosciuta: “Le sue speranze di una buona giornata, suppongo, sono le stesse che ho io. Siamo tutti e due fuori al vento, in attesa, disponibili a un miglioramento. E io spero che un po’ di fortuna attraversi la strada di tutti e due. La vita non è sempre in salita”. Romanzi come “Sportswriter” lasciano il lettore con un senso di libertà, speranza e un’aspettativa rinnovata verso tutto quanto. Un atteggiamento che contiene il germe della delusione e che è insieme quanto di più vicino alla felicità si possa sperimentare. Almeno attraverso la letteratura.
La struttura narrativa è semplice. L’anniversario della morte del primo figlio. Un viaggio a Detroit con una giovane infermiera anche lei divorziata. Il giorno di Pasqua. Però qui non risorge nessuno. Anzi. E a concludere il tutto un epilogo situato a mesi e chilometri di distanza. Un esile, ma fondamentale frammento della lente attraverso cui Richard Ford racconta “l’unica verità che non può essere una menzogna, la vita stessa: la cosa che accade”.
“Sportswriter” è una lunga narrazione in prima persona della vita di Frank Bascombe, un giornalista sportivo di trentotto anni. Nel presente del racconto si inseriscono, senza soluzione di continuità, lunghi passaggi dove i ricordi sono rivissuti attraverso lo sguardo dell’esperienza. Siamo definiti più dalle nostre sconfitte, che dalle vittorie. Ford racconta semplicemente di Frank e coinvolge il lettore in una vita suscitando “un piacere che ha una disperata sfumatura di desiderio”.
La scrittura avvolge il lettore. Le parole assumono una consistenza densa. Gli eventi narrati sono momenti del quotidiano e solo attraverso gli occhi del lettore acquistano un nuovo significato.
Parlando della sua breve esperienza come insegnante Frank si lancia in un attacco contro le epifanie joyciane; Ford non insegue le epifanie, perché non ne ha bisogno. E avvicinandosi alla vita nella sua continua sottrazione e aggiunta di eventi, nella sua algebra delirante dove il risultato è sempre inaspettato, che Ford riesce a raccontare Frank Bascombe. Alcuni potrebbero annoiarsi, forse. Probabilmente sono le stesse persone che arrivano a definire noioso “Underworld” di DeLillo. Non voglio paragonare le due opere. Troppo diverse. E’ una questione di ritmo e di stile. Simili la consistenza delle parole e l’emozione di alcune scene, come quella vicino al Ground Zero Burg (il libro è del 1986) dove Frank parla con una ragazza sconosciuta: “Le sue speranze di una buona giornata, suppongo, sono le stesse che ho io. Siamo tutti e due fuori al vento, in attesa, disponibili a un miglioramento. E io spero che un po’ di fortuna attraversi la strada di tutti e due. La vita non è sempre in salita”. Romanzi come “Sportswriter” lasciano il lettore con un senso di libertà, speranza e un’aspettativa rinnovata verso tutto quanto. Un atteggiamento che contiene il germe della delusione e che è insieme quanto di più vicino alla felicità si possa sperimentare. Almeno attraverso la letteratura.
1 commento:
Grandissimo libro.
Ottima segnalazione.
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