mercoledì 20 agosto 2008

Ho qualcosa da dirti


“I segreti sono la mia valuta corrente. Ci traffico per guadagnarmi da vivere. I segreti nascosti nel desiderio, in ciò che le persone vogliono davvero, e in ciò di cui hanno più paura. I segreti del perché l’amore è difficile, il sesso complicato, la vita dolorosa e la morte così vicina eppure tenuta debitamente a distanza. Perché il piacere e il castigo sono così strettamente connessi? Come parlano i nostri corpi? Perché siamo noi stessi la causa delle nostre malattie? Perché desideriamo il fallimento? Perché il piacere è difficile da sopportare?”

Lo ammetto. Ero fiduciosa. Kureishi sembrava avere molto da dire, piazzando un incipit così, che sembra prenderti alla gola. Ci speravo. In poco più di 450 pagine mi darà delle risposte. E’ questo che facciamo. Cerchiamo noi stessi, le nostre risposte, le soluzioni. E se qualcuno, a volte, le trova per noi, siamo sollevati, grati.
Si, Kureishi ha molto da dire.
La vita di uno psicoanalista di mezza età in una Londra contemporanea, un uomo incastrato nelle sue piccole ossessioni, minacciato dal ricordo di un unico amore, intrappolato tra presente e passato, non ancora in grado di essere completamente sé stesso. Un amore sconsiderato per il figlio, affetti strambi, sorelle piene di tatuaggi e ferite meno visibili di quello che sembra, amici accademici che riscoprono sesso, e amore, e tradimento, e fiducia. E il ricordo, sempre, comunque. Ognuno di noi ha questioni irrisolte dentro di sé, cose che ci portiamo dietro, grandi e piccole, e che, ascoltate o no, sono sempre lì, sull’orlo della nostra consapevolezza.Ciò che abbiamo di irrisolto è ciò che ci spinge a cercare, che non ci fa sentire mai veramente tranquilli.
E’ raro poter dire a sé stessi che ogni piega del nostro essere h
a la sua giusta collocazione. Più spesso succede che il telo si sposti a rivelare buchi, e nodi, e pezze, e strappi. Jamal si muove in una città che cresce tra integrazione e paura, ricordando un passato fatto di amicizia, amore e scoperte terribili.
Ed è naturalmente il ricongiungimento con questo passato a scatenare la parte centrale del romanzo.
Che non si lascia scappare nulla. Madri assenti, madri colpevoli, ex fidanzate in cerca d’amore, o solo di compagnia, luoghi poco raccomandabili, compari delinquenti, prostitute, amiche, pazienti. Un caleidoscopio che ogni tanto va allontanato dallo sguardo perché troppo ricco di colore, e movimento. Un continuo oscillare di tempi, tra il passato delle rivolte operaie, degli scioperi, delle scoperte, e il presente di un uomo di mezza età che in fondo vuole solo una sorta di pace, e non riesce a trovarla perché nel momento in cui ha tra le mani una soluzione, vede già la possibile alternativa. Il Destino, ciò che la vita continua a riportare sotto il nostro sguardo, le occasioni che ci chiedono attenzione, e noi troppo stanchi, forse, troppo rassegnati per accorgercene.
Non ho percepito gioia nel libro di Kureishi; la gioia sembra essere diventata merce rara.
Anche perché parlando di malinconia, e scelte sbagliate, e rimpianti, sai di aver già attratto tutti coloro che si sentono nello stesso modo. Perché tutti cerchiamo qualcosa in un libro. Ritroviamo le nostre ossessioni, e le nostre fragilità, e scorriamo le pagine in modo ansioso, sperando in qualcosa che possa far respirare anche noi.
Malinconia.
Questo è quello che ho provato chiudendo il libro. Tutte queste cose in potenza, in attesa di accadere e di concludersi. Ci sono nodi che vengono al pettine, ma è come se mancasse sempre qualcosa. E mi ritrovo a pensare che quel qualcosa, forse, non è altro che pace. La pace di avere ciò che si vuole. La pace dell’assenza di domande. La pace di un amore che sai ci sarà per sempre.

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