mercoledì 3 novembre 2010

L’isola dei naufraghi di Natsuo Kirino

Il naufragar, nelle pagine della Kirino, non è dolce per niente.
Questo libro, scritto nel 2008 e pubblicato nel 2010 da Giano, è un romanzo altalenante, ora pacato, riflessivo, quasi meditabondo, ora prepotente e ricco di azione.
La quarta di copertina è leggermente fuorviante; ci sono sì molti uomini naufragati su un’isola deserta, e una sola donna, e viene sì fatto un sorteggio nel decidere chi ne sarà il marito, ma tutto ciò è precario: già nelle prime pagine questa “routine” verrà sconvolta. Il tutto infatti parte dal rammarico di Sayako nel percepire che il quarto sorteggio per la scelta del suo nuovo marito è un evento del tutto ordinario, che scivola quasi nell’inutilità. Ove prima lei era desiderata, bramata, seguita, sognata, ora è semplicemente accettata, in certi casi ignorata.
Gli uomini si stanno rassegnando, lei non è più giovane, eccetera eccetera.
Nel prosieguo della storia, veniamo portati ora avanti, ora indietro, seguendo lo sguardo di personaggi diversi tra loro. Ognuno di essi porta con sé una prospettiva, ognuno di essi ci dà dettagli sconosciuti agli altri e così, in un gioco di prospettive, la storia si dipana, si avvolge su sé stessa, si distende.
Giapponesi, cinesi.
Leader ed esiliati.
Pazzi e santoni.
Sayako. Unica donna. Regina prima, traditrice poi. Comunque sempre al centro degli eventi.
La Kirino costruisce un universo racchiuso da barriere coralline, fatto di sopravvivenza, rimpianti, ricordi.
Qui manca quella sorta di inquietudine, di terrore serpeggiante, la sensazione che qualcosa di terribile stia per accedere. Il tutto è più un modo per descrivere, deridere, analizzare la società nipponica, i suoi limiti, i suoi stereotipi.
Non è un libro sopra la media, è un libro ben scritto che intrattiene senza stupire; le ultime 100 pagine, nelle quali le acque si dovrebbero increspare, sono un mero palliativo. Il finale, in fondo, è un qualcosa che ci si aspetta.
Poteva essere meglio, poteva essere peggio.
L’ordinarietà è tranquillizzante, ma la grandezza è altro.
(Chiara Biondini)

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