
Per la visione ricca di dettagli, di eventi marginali, ma di grande potenza narrativa, Richard Price ricorda, in versione aggiornata e meno epica, Charles Dickens.
“La vita facile” usa un omicidio come pretesto per raccontare New York divisa tra vecchi palazzi, negozi arabi, bar, mini-market, muri ingrigiti e appartamenti con vista sul parco. Ci sono Eric (anche il cognome è dickensiano: Cash), artista come tanti, arenato in un bar, Matty e Yolanda, due investigatori, Ike Marcus, Billy e molti altri ancora.
Opera non facile, ma di facile lettura, “Lush Life” è il gioco perfetto del narratore onnisciente. Il romanzo al suo meglio. Il lettore vede ciò che accade. Sente gli odori. I suoni.
Parlavo di eventi marginali e della potenza narrativa: è il discorso di Nabokov nella sua lezione su “Casa Desolata”, l’anonimo che attraverso una descrizione, un gesto diventa immagine letteraria, e per Dickens, o Price, icona di uno stile. In un ascensore affollato, foderato di fogli di alluminio “due cinesi si stringono al loro carrello come pellicola sigillante”: non sono niente per la storia, comparse senza peso, ma, attraverso le descrizioni, Richard Price rende tutto unico. E’ una scrittura preziosa di questi tempi. L’autore non è certo alla sua prima esperienza, oggi ha quasi sessanta anni, il suo primo romanzo è uscito quando ne aveva ventiquattro, nel frattempo ha scritto “Freedomland”, “Clockers”, e anche alcuni episodi della serie poliziesca “The Wire”.
“La vita facile” è costruito per frammenti. Personaggi e inquadrature. Price non perde mai di vista il racconto: è solo grazie alla sua straordinaria abilità, se il romanzo non naufraga, se i frammenti s’incastrano alla perfezione. Non troppi personaggi, non troppe visioni e versioni, ma molti personaggi, molte anime che muovono i fili della storia. “La vita facile” è New York. E’ un omicidio, vendetta, riscatto, amarezza, speranza. E’ un salto con il paracadute, e insieme l’incertezza che la vela si apra.
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