Quando James Crumley scrive questo romanzo è il 1983 (circa), sono passati vari anni da “Il caso sbagliato”, l’altro noir che vede Milo Milodragovitch protagonista. Crumley ha sempre scritto poco. La sua prima opera, “Uno per battere il passo”, è stata tradotta da una piccola casa editrice e narra della sua esperienza nell’esercito.
Scrittore avvolto da un’aura leggendaria, oltre che dalle esalazioni dell’alcol, Crumley è il personaggio a cui è dedicato un intero romanzo di Patrick Raynal, direttore all’epoca della Série Noir per Gallimard “Cercando Sam” che contiene, come un inserto, la citazione del Dead Perfect Solid Martini. Era il 1998, i noir Einaudi avevano un’impronta nera sulla costola, conoscevo Raynal per fama e Crumley perché Luca Conti, che avrebbe poi ritradotto le sue opere (non ha ancora finito se si vuole essere precisi), ne parlava come di un mito vivente. Il suo ricordo per la morte di Crumley è un distillato di malinconia ed epica grandezza. Che poi, Conti lo sa bene, Crumley avrebbe preferito un altro martini a tutta l’epica e la grandezza, o almeno è quello che avrebbe risposto se interrogato in materia.
“La cattiva strada” fa risplendere un’opera già apparsa nei Gialli Mondadori (“Dalla parte sbagliata”: comunque il titolo originale è “Dancing Bear” e il lettore è bene che lo sappia visto che l’orso, danzante o stecchito, è un elemento della trama). Milo si trova invischiato in una storia di cui non si riesce a trovare il senso. Pedinamenti, fughe, esplosioni. A un certo punto il protagonista è stremato (nel romanzo ha quarantasette anni): “Ma che cazzo pensai. Se quei pezzi di merda mi stanno alle calcagna, se vogliono fare secco un vecchio scorreggione come me, già mezzo morto di paura, adesso sono cazzi loro. Mi trovano proprio caldo, schizzato a questo modo. Soprattutto perché, a parte la coca, mi ero sistemato alla grande: mezza dozzina di bombe a mano , un’arma automatica [un Ingram M-11 - n.d.r] e nove caricatori pieni”.
Nei libri di Crumley il western è mescolato al noir, solo che l’eroe non è mai senza macchia; a parte l’alito che sa di Schnapps, le pupille tradiscono un uso continuo di cocaina. Questo l’autore lo sa benissimo e anche Milo: “Ero tornato a lavoro da sole ventiquattro ore e già facevo schifo al cazzo. Sembravo un cadavere ambulante di serie B, un uomo in fuga da se stesso”.
E’ la vita che siamo sempre costretti a trascinarci con noi, che ci definisce e, a volte, ci condanna. I noir di Crumley non sono un elogio alla sregolatezza: la paura e il desiderio sono i sentimenti più forti, e dominano le vite di molti suoi personaggi in un modo che non spereremo mai di incontrare.
James Crumley “La cattiva strada”, (ed. or. 1983), pp. 292, 18 euro, Einaudi, 2010.
Scrittore avvolto da un’aura leggendaria, oltre che dalle esalazioni dell’alcol, Crumley è il personaggio a cui è dedicato un intero romanzo di Patrick Raynal, direttore all’epoca della Série Noir per Gallimard “Cercando Sam” che contiene, come un inserto, la citazione del Dead Perfect Solid Martini. Era il 1998, i noir Einaudi avevano un’impronta nera sulla costola, conoscevo Raynal per fama e Crumley perché Luca Conti, che avrebbe poi ritradotto le sue opere (non ha ancora finito se si vuole essere precisi), ne parlava come di un mito vivente. Il suo ricordo per la morte di Crumley è un distillato di malinconia ed epica grandezza. Che poi, Conti lo sa bene, Crumley avrebbe preferito un altro martini a tutta l’epica e la grandezza, o almeno è quello che avrebbe risposto se interrogato in materia.
“La cattiva strada” fa risplendere un’opera già apparsa nei Gialli Mondadori (“Dalla parte sbagliata”: comunque il titolo originale è “Dancing Bear” e il lettore è bene che lo sappia visto che l’orso, danzante o stecchito, è un elemento della trama). Milo si trova invischiato in una storia di cui non si riesce a trovare il senso. Pedinamenti, fughe, esplosioni. A un certo punto il protagonista è stremato (nel romanzo ha quarantasette anni): “Ma che cazzo pensai. Se quei pezzi di merda mi stanno alle calcagna, se vogliono fare secco un vecchio scorreggione come me, già mezzo morto di paura, adesso sono cazzi loro. Mi trovano proprio caldo, schizzato a questo modo. Soprattutto perché, a parte la coca, mi ero sistemato alla grande: mezza dozzina di bombe a mano , un’arma automatica [un Ingram M-11 - n.d.r] e nove caricatori pieni”.
Nei libri di Crumley il western è mescolato al noir, solo che l’eroe non è mai senza macchia; a parte l’alito che sa di Schnapps, le pupille tradiscono un uso continuo di cocaina. Questo l’autore lo sa benissimo e anche Milo: “Ero tornato a lavoro da sole ventiquattro ore e già facevo schifo al cazzo. Sembravo un cadavere ambulante di serie B, un uomo in fuga da se stesso”.
E’ la vita che siamo sempre costretti a trascinarci con noi, che ci definisce e, a volte, ci condanna. I noir di Crumley non sono un elogio alla sregolatezza: la paura e il desiderio sono i sentimenti più forti, e dominano le vite di molti suoi personaggi in un modo che non spereremo mai di incontrare.
James Crumley “La cattiva strada”, (ed. or. 1983), pp. 292, 18 euro, Einaudi, 2010.
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