mercoledì 21 aprile 2010

Assalto a un tempo devastato e vile. Versione 3.0 di Giuseppe Genna

L’inizio vibratile, che scuote le vele di immagini. Svanisce tutto nella presenza.

Un libro che si autodefinisce come incompiuto. Primo e ultimo. Genna, dopo “Italia De Profundis”, si addentra nella sua opera fondamentale e fondante, per la sua scrittura e per la sua persona. Racconto, memoria, citazione, sbavatura barocca sopra il germe di una filosofia ansiogena (“Viviamo l’Epoca del Trauma”): Assalto è un testo ricco di sfumature, di odori rancidi, di profumi speziati, di sudore e morchia, dissertazione sul lavoro che mi consuma e mi riduce schiavo ogni giorno, ogni ora, legato a una rete che analizza i bisogni. Come disse Baudrillard: “Il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare”.
Genna, dopo dieci anni dalla prima pubblicazione, arricchisce il testo con inserti e citazioni. Foster Wallace: “E poi arriva il disagio più acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realtà i genitori non torneranno più e che noi dovremo essere i genitori”.
L’era del Trauma è l’epoca delle storie e “le storie sono vuote”. Rimandando a Burroughs, Genna afferma che la fantascienza sarà la sua ultima allusione.
Un capitolo analizza il ’68. Smonta il movimento usando György Lukács che “riassume l’atteggiamento di questa élite, illegittimamente uscita dal ’68 e attualmente irradiante disvalori dalle plance tecnocratiche che si contenta di gremire”. E ricordo A. S. e sua moglie e i loro amici (tecnocrati d’alto rango del CNR o di istituti pubblici o privati) lettori di Mao: le peggiori persone mai incontrate nella mia vita, ora lo comprendo. Genna inserisce poche righe di speranza: l’esplosione sempre possibile.
E dopo i falsi padri, il lettore può trovare la morte, narrata già in “Italia De Profundis”, del padre vero. Un suo quaderno. Le sue poche parole. Un amore che l’autore non può comprendere.
Noi abbiamo questo libro: racconti, ricordi, descrizioni, visioni, allucinazioni, poesia, prosa e abbaglianti filamenti di presente scritti molti anni fa, con più precisione di quanta se ne potesse desiderare. “L’inizio mi accompagna e cresce e diventa fine, una dorsale che sviluppa la cartilagine del disagio e dell’inoltramento”.
E’ la città strinata di nebbia e zolfo, periferia culla dell’esplosione, che Genna indaga. A volte sono solo miccette da niente. “Una volta mi vidi a specchio in una vetrina e inorridii, poi vidi il vetro”.
End Zone” di Don DeLillo è ampiamente citato, prelude al finale del libro stesso, che però si è detto, non finisce. “I Nomi”, “Il Cratilo”, “Vineland”: DeLillo, ancora, Platone, Pynchon. “Non esiste terapia all’umano o per l’umano, se non la sua estinzione” e subito aggiunge: “Questo sogno è terapeutico”.
Ogni genere (letterario, psichico, morale, fisico) è stato stuprato, affinché si aprisse lo spazio senza genere: uno spazio generico, una End Zone. E’ tale il luogo in cui il desiderio, finalmente realizzato, o l’esperienza finalmente compiuta, vengono trascesi, in modo da essere visti quali sono: desiderio ed esperienza”.
Arretro di fronte a questo groviglio di parole colmo di esche, inneschi e fughe.

Aprile del 2010 / ascoltando Four Tet, There Is Love In You.

Giuseppe Genna, “Assalto a un tempo devastato e vile. Versione 3.0”. pp. 325, 15 euro, Minimum Fax, 2010.

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