
Peace non si può descrivere. E’ un autore che assorbe ogni energia. Trascina. Corre. E’ l’opposto di Mazzantini e dei suoi lettori. Di Lilin e dei suoi lettori. Di Canin e dei suoi lettori. Degli scrittori fasulli e delle loro schiere di appassionati. Ossa fragili per sorreggere gangli nervosi in corto circuito. Una folata di vento per abbatterli. Non basta. Sono troppi. Troppo tardi. Un cancro metastatizzato. Abbiamo solo palliativi. Abbiamo solo la vera letteratura. E ancora non basta. E non basterà mai.
“Il maledetto United” è un romanzo tormentato in ogni riga, il campo è un luogo di guerra. I destini si decidono sopra il manto erboso. Peace non vuole essere epico. Non c’è niente di epico. L’epica è una favola per cervelli bruciati. Brian Clough puzza di brandy e sigarette. Odia la sua squadra. Odia gli arbitri comprati. Odia il gioco sporco “del fottuto, maledetto Leeds”. Appena arriva brucia la scrivania del precedente allenatore, Don Revie. Brucia i dossier sugli arbitri. “Fortuna, allora, che ne abbiamo fatto una copia” gli dice Syd, il preparatore atletico. Don Revie, allenatore dell’anno, scudetti e trofei. Il manipolatore del gioco del Leeds. Il gioco sporco. La sua firma ovunque. “Non la mia squadra” ripete Brian. Solo il fottuto, maledetto Leeds. Come in Ellroy, anche in Peace la ripetizione impone il ritmo. La frase si spezza. La storia mai.
E con le parole, ormai dal sapore antico, “Coppa dei Campioni”, Peace si sposta nel 1979. Ci ricorda che, sebbene sempre mescolata a una punta di amarezza, la felicita è là. Per Brian. Per David stesso, che accompagna i bambini a scuola, e poi scrive e corre, per noi, sul filo della follia. Per noi, molti o pochi, ma non per tutti: maledetti fottuti idioti.
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