martedì 15 settembre 2009
martedì 1 settembre 2009
Lo stato delle cose di Richard Ford. Se potete dirlo, può succedere.
Frank Bascombe, protagonista della trilogia di Richard Ford, ha ora cinquantacinque anni. Si è trasferito sulla costa, non tanto lontano da Haddam, città al centro dei precedenti volumi. E’ sempre un agente immobiliare, però è arrivato al Periodo Permanente quando “ti rendi conto che non puoi mandare tutto completamente a puttane, dato che tanta parte della tua vita è già stata scritta. Sei un sopravvissuto”.
Se si volesse tracciare una semplice collocazione temporale del presente dei tre romanzi, si potrebbe notare subito che il primo, “Sportswriter”, è legato alla primavera (la festività di Pasqua ricorre al termine del racconto), il secondo romanzo, “Il giorno dell’Indipendenza”, ovviamente, si svolge in estate (qui la festività è stampata a chiare lettere già nel titolo), mentre ne “Lo stato delle cose” (“The Lay Of The Land”), la festività è il Giorno del Ringraziamento: siamo in autunno.
Questo libro dapprima è stato a lungo sulla mia scrivania, poi si spostava in giro come un ricordo che faceva capolino tra i mille affanni quotidiani. Leggendolo, alla buon ora, ho potuto constatare che questa sensazione sfuggente, simile al ricordo (nel caso di Frank il ricordo della morte del suo bambino, un motivo che compare subito in “Sportswriter”), era proprio quella che Ford ha inseguito per buona parte del romanzo. “Lo stato delle cose” è un'affascinante immersione in Frank Bascombe, l’ultima che ci sarà concessa (non credo che l’autore sia interessato a seguirlo fino alla bara, in un libro “invernale”): forse anche questa sensazione di malinconico commiato da una figura tanto comune, eppure incredibilmente ricca di idee, ripensamenti, discorsi, dispiaceri, scuse, ricordi, amori, fughe, ironia, dolore, questo commiato, dicevo, contribuisce a far centellinare ogni pagina. La scrittura di Richard Ford aiuta: con i suoi movimenti browniani, la sua incessante revisione di ogni cosa; Frank Bascombe dopo tre romanzi è ormai una parte del lettore, o forse è il lettore, che da sempre è stato parte di Frank. E’ un romanzo straripante che riflette la personalità di un protagonista che non farebbe mai il test della verità “non perché io menta, ma perché riconosco come possibili troppe cose”.
Nel seguire gli spostamenti tra una città e l’altra, tra un ricordo e l’altro, tra una verità e la sua correzione o una sua versione più chiara, ci trasformiamo in esseri in perenne stato di transizione, in bilico tra le emozioni. Anche il Periodo Permanente di Frank dovrà avere la sua revisione.
“Lo stato delle cose” è una lettura non epica e proprio per questo un vero capolavoro. L’autunno del 2000 con il riconteggio dei voti in Florida è uno sfondo più che simbolico per un romanzo pubblicato in originale nel 2006: il senso del confine incerto di un uomo e di una nazione si fondono, ma, lo si è detto, Richard Ford non è uno scrittore epico, è solo uno scrittore. Grandissimo.
Nei suoi mille spostamenti, il romanzo, lineare nella trama principale, si abbandona a una corrente vitale straordinaria, qui la “felicità è un mucchio di balle. Felice è un pagliaccio, il personaggio di telefilm, la frase di un biglietto di auguri. La vita, però, la vita è qualcosa di più impegnativo. Ma è anche meglio. Molto meglio. Credetemi”.
Richard Ford sottopone Frank a non pochi scossoni, le sue convinzioni ci avvincono eppure, l’autore non vuole fermarsi, qualcosa esiste ancora poco oltre il nostro sguardo. Non è ancora finita. E allora, come Frank, torniamo sui nostri passi, rileggiamo le stesse pagine, riavvolgiamo il nastro, e infine ci rendiamo conto che, come in tutti i nostri precedenti incontri con Bascombe, siamo stati troppo vicini alla vita, ne abbiamo perduto il senso. Tutto quello che deve ancora venire, tutto quello che ci è stato tanto caro ed ora è scomparso, volteggiamo tra i frammenti… boccheggiamo nella marea del romanzo fino all’ultima necessità quando l’Atlantico si ritrae “viola e piatto, poi improvvisamente più scintillante. E ho pensato fra me e me, lì in piedi: questa è la necessità. Questa è la battuta in più: vivere, vivere, vivere fino in fondo”.
Se si volesse tracciare una semplice collocazione temporale del presente dei tre romanzi, si potrebbe notare subito che il primo, “Sportswriter”, è legato alla primavera (la festività di Pasqua ricorre al termine del racconto), il secondo romanzo, “Il giorno dell’Indipendenza”, ovviamente, si svolge in estate (qui la festività è stampata a chiare lettere già nel titolo), mentre ne “Lo stato delle cose” (“The Lay Of The Land”), la festività è il Giorno del Ringraziamento: siamo in autunno.
Questo libro dapprima è stato a lungo sulla mia scrivania, poi si spostava in giro come un ricordo che faceva capolino tra i mille affanni quotidiani. Leggendolo, alla buon ora, ho potuto constatare che questa sensazione sfuggente, simile al ricordo (nel caso di Frank il ricordo della morte del suo bambino, un motivo che compare subito in “Sportswriter”), era proprio quella che Ford ha inseguito per buona parte del romanzo. “Lo stato delle cose” è un'affascinante immersione in Frank Bascombe, l’ultima che ci sarà concessa (non credo che l’autore sia interessato a seguirlo fino alla bara, in un libro “invernale”): forse anche questa sensazione di malinconico commiato da una figura tanto comune, eppure incredibilmente ricca di idee, ripensamenti, discorsi, dispiaceri, scuse, ricordi, amori, fughe, ironia, dolore, questo commiato, dicevo, contribuisce a far centellinare ogni pagina. La scrittura di Richard Ford aiuta: con i suoi movimenti browniani, la sua incessante revisione di ogni cosa; Frank Bascombe dopo tre romanzi è ormai una parte del lettore, o forse è il lettore, che da sempre è stato parte di Frank. E’ un romanzo straripante che riflette la personalità di un protagonista che non farebbe mai il test della verità “non perché io menta, ma perché riconosco come possibili troppe cose”.
Nel seguire gli spostamenti tra una città e l’altra, tra un ricordo e l’altro, tra una verità e la sua correzione o una sua versione più chiara, ci trasformiamo in esseri in perenne stato di transizione, in bilico tra le emozioni. Anche il Periodo Permanente di Frank dovrà avere la sua revisione.
“Lo stato delle cose” è una lettura non epica e proprio per questo un vero capolavoro. L’autunno del 2000 con il riconteggio dei voti in Florida è uno sfondo più che simbolico per un romanzo pubblicato in originale nel 2006: il senso del confine incerto di un uomo e di una nazione si fondono, ma, lo si è detto, Richard Ford non è uno scrittore epico, è solo uno scrittore. Grandissimo.
Nei suoi mille spostamenti, il romanzo, lineare nella trama principale, si abbandona a una corrente vitale straordinaria, qui la “felicità è un mucchio di balle. Felice è un pagliaccio, il personaggio di telefilm, la frase di un biglietto di auguri. La vita, però, la vita è qualcosa di più impegnativo. Ma è anche meglio. Molto meglio. Credetemi”.
Richard Ford sottopone Frank a non pochi scossoni, le sue convinzioni ci avvincono eppure, l’autore non vuole fermarsi, qualcosa esiste ancora poco oltre il nostro sguardo. Non è ancora finita. E allora, come Frank, torniamo sui nostri passi, rileggiamo le stesse pagine, riavvolgiamo il nastro, e infine ci rendiamo conto che, come in tutti i nostri precedenti incontri con Bascombe, siamo stati troppo vicini alla vita, ne abbiamo perduto il senso. Tutto quello che deve ancora venire, tutto quello che ci è stato tanto caro ed ora è scomparso, volteggiamo tra i frammenti… boccheggiamo nella marea del romanzo fino all’ultima necessità quando l’Atlantico si ritrae “viola e piatto, poi improvvisamente più scintillante. E ho pensato fra me e me, lì in piedi: questa è la necessità. Questa è la battuta in più: vivere, vivere, vivere fino in fondo”.
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